Alla fine ho deciso di non continuare a recensire gli altri film di Terminator. Il motivo per cui ho voluto smettere è molto semplice: non mi piace parlare di film che non apprezzo. Ho trattato in passato di pellicole brutte che però erano riusciti a divertirmi, ma i seguiti di Terminator (dal terzo in poi) sono lavori che mi hanno lasciato indifferente (oltre a non possedere minimamente lo stesso livello tecnico dei film di Cameron). Per questo ho deciso di fare un altro, piccolo progetto. Visto che siamo a Ottobre e che questo mese è ormai conosciuto come il mese di Halloween, perché non tornare a recensire un po’ di horror? Sembra proprio l’ideale!
E per cominciare voglio parlare di una pellicola molto interessante. Ecco a voi La casa che grondava sangue (The House that dripped blood), horror del 1971, diretto da Peter Duffell.
Trama:
Un poliziotto sta conducendo delle indagini sulla scomparsa di un famoso attore di film horror dalla casa che aveva preso in affitto. Durante le sue indagini viene a conoscenza, grazie ad alcune persone, di altri strani eventi che sono accaduti in quella vecchia casa. Ed è così che iniziano a narrare di quattro storie terrificanti accadute dentro quelle mura.
Esatto, da come avete potuto capire, parlerò di un’antologia horror. Sono sincero, mi erano mancate. Era dai tempi di XX che non ne parlavo. E soprattutto sono contento di poter parlare di un prodotto della Amicus Productions, famosissima casa di produzione britannica che, tra gli anni ’60 e la fine degli anni ’70, distribuì pellicole horror meravigliose. Fu la rivale storica della Hammer Productions. Un giorno dovrei parlare di queste due storiche case, ma sarà per un’altra volta.
Iniziamo subito con la prima storia intitolata Method for Murder.
In questo segmento vediamo un famoso scrittore di libri horror, Charles Hillyer (Denholm Elliott), che, insieme a sua moglie Alice, si trasferisce nella casa per poter scrivere in pace le sue storie. Questa sembra un’ottima scelta dato che trova subito l’ispirazione per un nuovo romanzo con protagonista Dominic, un folle strangolatore. Tutto sembra andare bene, fino a quando Charles non vedrà apparire Dominic nella vita reale.
Una cosa che adoro parecchio di questo primo racconto è la sua tematica centrale ovvero la paranoia. Non sappiamo se Dominic esista oppure no e non sappiamo neanche se quel personaggio faccia parte della personalità dello scrittore. Vedremo inizialmente Charles cercare di ignorare la cosa, pensando che si tratti dello stress e smettendo di scrivere, ma la presenza dello strangolatore si farà sentire sempre più e inizierà anche a fare del male. Adoro i tagli di luci in notturna quando si trovano dentro la casa. Si crea in questo modo un ottimo gioco di ombre e ogni zona oscura della casa sembra un perfetto nascondiglio per un personaggio come Dominic. Parlando di Dominic, mi piace molto il suo design. Non è qualcosa di complesso o elaborato, è molto semplice ma impattante, con la faccia pallida, gli occhi folli e i denti rovinati. E, nel complesso, riesce a inquietare dimostrando come a volte un buon attore, un’ottima fotografia e un trucco convincente possano rendere veramente inquietante qualcuno senza dover ricorrere ad effetti speciali costosi.
Il secondo segmento di cui parlerà si intitola Waxworks.
Un uomo in pensione, Philip Grayson (interpretato dal leggendario Peter Cushing), decide di trasferirsi nella casa per stare da solo e potersi dedicare a tutte quelle cose che non era riuscito a fare quando lavorava. Mentre sistema i suoi oggetti trova la foto di una sua vecchia fiamma e così inizia a vagare per il paesino, riflettendo sul suo passato. Così facendo si imbatte i un museo della cera e decide di entrare. Tra le varie statue, Philip rimane incantato da quella di Giuditta che assomiglia in modo assurdo al suo vecchio amore. Philip se ne va sconvolto ma riceve la visita di un suo vecchio amico, Neville, anche lui un tempo innamorato di quella donna. La situazione peggiorerà quando anche lui vedrà la statua di Giuditta.
Di questo segmento adoro soprattutto due cose: Peter Cushing e la fotografia. Penso che Cushing non abbia bisogno di presentazioni (un giorno ne parlerò di più quando parlerò del Dracula della Hammer). Qui Cushing interpreta alla grande il suo personaggio e riusciamo a capire alla perfezione il suo stato d’animo attraverso il suo sguardo e soprattutto attraverso i suoi occhi: la malinconia, il dolore, le incertezze, l’orrore; riuscirà a trasmettere tutto questo allo spettatore e lo fa con la sua classe. Per quanto riguarda invece la fotografia, adoro quell’esplosione di luci e colori ogni volta volta che i personaggi entrano nel museo: blu, viola, verde e rosso, colori in netto contrasto e molto luminosi che riesconoa a creare un’ambientazione suggestiva e ben fatta. Anche il proprietario del museo riesce a creare una certa tensione con la sua presenza, osservando i visitatori con uno strano sguardo indagatore.
E ora parliamo del terzo segmento chiamato Sweets to the Sweet.
Un uomo vedovo, John (il grande Christopher Lee), decide di assumere un’insegnante privato per educare sua figlia Jane (Chloe Franks) a casa. Risponde all’annuncio Ann Norton (Nyree Dawn Porter), un’ottima insegnante che riesca subito a far amicizia con la bambina. L’insegnante critica molto il comportamento di John nei confronti della figlia: è molto freddo e severo, non le permette di andare a scuola e stare con gli altri bambini e soprattutto non vuole che abbia regali, specialmente delle bambole. Ed è qui che si inizieranno a scoprire segreti legati alla stregoneria.
A mio avviso questo è l’episodio scritto meglio di tutti. Gli altri erano scritti bene ma presentavano dei persoaggi abbastanza semplici che non nascondevano lati particolari del loro carattere e non avevano un’evoluzione. Qui invece c’è una caratterizzazione più profonda dei tre protagonisti. Nulla di eccezionale ma comunque lodevole. Adoro il comportamento di John. Il motivo di questo suo modo di fare verrà spiegato bene, ma vi basti sapere che fa ciò per evitare che succeda una certa cosa. Ciò di cui non si rende conto è che sarà proprio questo atteggiamento a scatenare tutto il susseguirsi di eventi. Mi piace molto il rapporto tra l’insegnante e la bambina. Hanno un rapporto molto stretto e Ann potrebbe anche essere una possibile salvezza se solo John le parlasse. La bambina invece avrà una crescita e soprattutto una maggiore consapevolezza di se e di quello che è realmente capace di fare. A mio avviso una delle storie più interessanti.
Arriviamo infine all’ultimo segmento, quello che ha costretto il poliziotto a iniziare le indagini. Quest’ultima parte si chiama The Cloak.
Il famosissimo attore di film horror, Paul Henderson (Jon Pertwee), si trasferisce nella casa, visto che è molto vicina al set dove si svolgerà il suo prossimo film e anche perché ha una passione per il sovrannaturale. Durante le riprese Paul critica parecchio la scenografia e il modo con cui vengono fatti gli horror adesso ma soprattutto critica il suo vestito da vampiro. Così decide di andarlo a comprare e, così facendo, trova un negozio particolare e il suo proprietario (Geoffrey Bayldon) gli da a poco prezzo e con gioia un ottimo mantello. Quando Paul indossa il mantello inizia però a comportarsi come un vampiro e ad avere gli stessi poteri della creatura. Rivelerà questa cosa solo all’attrice che è insieme a lui, Carla Lynde (Ingrid Pitt).
Dei quattro questo è sicuramente il segmento pià divertente. E’ girato come se fosse un horror ma con l’aggiunta di elementi comici che lo rendono interessante. Già solo il fatto che un famoso attore di horror (soprattutto nelle parti del vampiro) si trasformi veramente nella creatura dei suoi film è un’idea simpatica. Ci sono poi altri elementi che fanno l’occhiolino a chi conosce bene queste pellicole e soprattutto parla più o meno di come funzionanava l’industria dell’horror di quei tempi. Un segmento veramente simpatico che ho apprezzato molto.
E qui si conclude la recensione de La casa che grondava sangue. Chi guarderà il film sicuramente noterà che di sangue non ce n’è per niente., ma stavolta la colpa non è del titolo italiano (che stavolta è tradotto pure bene). Il regista, Duffell, voleva chiamare la pellicola Death and the Maiden ma furono i produttori a insistere sul titolo che ora ha per motivi di marketing (il loro titolo attirava subito l’attenzione). Comunque sia questo è un film veramente divertente, che riesce a intrattenere e a tenere in tensione. Una pellicola che vi consiglio con piacere.
Spero che la recensione vi sia piaciuta.
Alla prossima!
[The Butcher]
Mammasanta che paura mi facevano da piccola Cushing e Lee …
Vuol dire che facevano bene il loro lavoro. Due attori stupendi!
Vero.come anche Vincent Price ,
che mi diede un brivido inquietante quando lo vidi La Fabbrica di cioccolato di Burton… 😯
Ma Vincent Price non aveva recitato a Edward mani di forbici?
Si infatti era Lee che fece Wilbur Wonka e Price il creatore di Edward…piccolo lapsus sorry
Nessun problema! Anzi mi era venuto un dubbio atroce per un momento.
Ma sai che stranamente li confondo?
..sara’ la giovecchiezza 😕
Me lo sono proprio gustato questo tuo pezzo, Butcher, complice del fatto che non ho assolutamente mai visto questo film antologico di Peter Duffell! Anzi, aggiungo che prima di questa tua importamte lettura, non conoscevo nemmeno questo regista, mentre ho notato che tra gli autori dello script c’è un importante Robert Bloch, grosso autore di misyery e noir…
Insomma, a questo punto la visione è d’obbligo (ho visto che Feltrinelli in negozio ha messo il DVD a meno di 5 euro, ma anche a prezzo intero costava poco): la voglia me l’hai trasmessa e pur anazlizzando ciascuno dei quattro segmenti narrativi, non hai, come tuo solito, fatto spoiler che ne annacquano la cusrosità di visione, anzi la stimolano!
Certo che un tuo pezzo di confronto tra la Hammer e la Amicus sarebbe una vera chicca, praticamente un saggio, giacché moltissimo del cinema di suspense ed horror contemporaneo ha un debito gigantesco verso quelle produzioni caratterizzate da grandi storie in low budget e soprattutto perché con il passare degli anni il pubblico, specie quello nuovo, ha perso completamente la memoria di ciò che quelle due case sono state e cosa hanno rappresentato: un’impresa non facile, specie se affrontata da chi non avesse la tua compteneza e la tua pazienza di metterele nel giusto inquadramento storico.
Effettivamente quello di fare un articolo su Hammer e Amicus è un bel lavoro e ci vorrà veramente tanto tempo per farlo. Quelle due case hanno fatto grandi cose per il cinema horror e non solo e ci vorrà un studio approfondito. Personalmente non mi sento ancora pronto per una cosa del genere, ma mi piacerebbe molto portarlo a termine. Vedrò cosa posso fare e nel frattempo ti ringrazio mille per le tue parole!
Dovere, amico mio, dovere e piacere!
Magnifico, che ricordi!!
Son contento di averti riportato alla mente un bel ricordo. Io questo film l’ho scoperto un anno fa e me ne sono innamorato.
Miticissimo! Questi film avevano la capacitá, con budget ridotti, di impaurire sul serio
Vero! Questo perché riuscivano a costruire un’ottima tensione attraverso anche solo l’idea della storia e, attraverso una buona regia e una buona fotografia, a creare l’atmosfera giusta. Sono film da cui prendere esempio.
[…] passato avevo parlato di una pellicola dell’Amicus, anche quella un’antologia horror, La casa che grondava sangue, opera davvero molto divertente e interessante. In questo caso discuteremo di uno dei loro primi […]