Chicken Little

Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Nello scorso articolo siamo andati avanti con la maratona Disney, arrivando al loro 45° classico animato, un film troppo spesso dimenticato ossia Mucche alla riscossa. Maggie è una mucca che viene venduta dal suo proprietario dopo che il suo ranch è fallito per via del criminale Alameda Slim, che ha rubato tutti i suoi bovini. Maggie viene accolta alla fattoria Angolo di Paradiso dalla vecchia Pearl e qui incontra altre due mucche, Mrs Calloway e Grace. Purtroppo anche questa fattoria rischia di chiudere se entro tre giorni non viene pagato il debito di 750 dollari. Ed è qui che Maggie ha un’idea folle: catturare Alameda Slim, la cui taglia è proprio di 750 dollari, e salvare così Angolo di Paradiso. Un film uscito in un periodo di transizione dove la Disney aveva fretta di passare al digitale ma che dalla sua ha elementi interessanti come il disegno e le ambientazioni, ma soprattutto con una comicità quasi demenziale, delle protagoniste simpatiche e anche delle belle idee. Il suo vero difetto è che risulta sottotono, non spinge mai veramente sull’acceleratore e non sfrutta appieno la sua follia. Rimane comunque un film veramente piacevole che consiglio.
E con l’articolo di oggi arriviamo al 46° classico Disney, il film che ha segnato il passaggio dall’animazione tradizionale a quella digitale. E, almeno dal mio punto di vista, non fu un buon inizio.
Ecco a voi Chicken Little, pellicola animata del 2005 scritta da Ron Anderson, Steve Bencich e Ron J. Friedman e diretta da Mark Dindal.

Trama:
Chicken Little (Zach Braff) è un polletto di campagna che un giorno da l’allarme generale nella sua cittadina, Oakey Oaks, mandando in panico gli abitanti. Il motivo è questo: il cielo sta crollando. Ovviamente nessuno gli crede e pensano che si sia sbagliato perché una ghianda gli è caduta in testa. Per un anno intero viene preso in giro per questa cosa e anche suo padre, Peppe Gallo (Garry Marshall), prova imbarazzo per lui. Chicken vuole riconquistare la fiducia di suo padre e per farlo decide allora di entrare nella squadra di baseball, visto che Peppe Gallo era stato un grande giocatore. Solo che le cose prendono una piega inaspettata quando scoprirà che ci sono degli alieni chi li osservano.

Siamo arrivati al film che temevo più di tutti. Purtroppo questo è quello che, personalmente, reputo il peggior classico della Disney. Fin da piccolo quest’opera aveva uno strano effetto su di me. Nonostante la mia ingenuità, capivo che c’era qualcosa che non andava, specialmente nella trama. E crescendo il mio giudizio si è sempre fatto più severo. Ovviamente cercherò di essere oggettivo perché comunque il film ha degli elementi positivi.

Partiamo dalla produzione. La storia è tratta dalla favola Henry Penny (negli Stati Uniti conosciuto come, appunto, Chicken Little), un racconto popolare europeo di tipo morale. La storia infatti aveva come protagonista un pulcino che credeva che il cielo stesse crollando dopo essere stato colpito in testa da una ghianda. Così il pulcino decide di recarsi dal re per condividere la notizia e nel suo tragitto si uniscono altri animali. Ci sono diversi finali ma quello più vecchio e famoso è questo: una volpe invita il pulcino e gli altri animali nella sua tana e se li mangia tutti. E la Disney in passato aveva già trasposto questa storia, con il corto animato del 1943, un corto di propaganda e anti-nazista che descriveva il male che poteva causare l’isteria di massa.

Fu proprio Dindal, nel 2001, a riprendere in mano questa storia, scrivendo un soggetto interessante ossia un pulcino femmina piena di ansie che deve andare al campo estivo per risolvere i suoi problemi e una volta qui scopre un complotto da parte del consulente del campo contro la cittadina. Quello che era più interessante era il fatto che Dindal voleva capovolgere il racconto originale dando ragione al protagonista. Qui però arrivarono i cambiamenti, prima da parte di Michael Eisner, che voleva il protagonista maschio, e in seguito da parte di David Stainton, il presidente della Disney di allora a partire dal 2003. Con quest’ultimo si fecero i cambiamenti più grandi, dove la storia dovette essere riscritta da capo nel giro di tre mesi in quella che conosciamo noi. Quindi possiamo dire che il povero Dindal non ebbe colpa a riguardo.
Inoltre la Disney fece in modo che metà dei suoi animatori si allenassero per 18 mesi nell’uso del digitale, andando dalla Industrial Light & Magic di George Lucas (l’altra metà degli animatori purtroppo venne licenziata). Certo, qualcuno potrebbe dire che la Disney aveva già fatto un’opera in digitale, ossia Dinosauri, ma visto che gli sfondi erano reali e non creati, venne definito tecnica mista (e anche per questo motivo a volte uscì e rientrò tra i classici della Disney) e quindi il primato lo ebbe Chicken Little.

Il lato tecnico purtroppo non convince del tutto. Una cosa veramente problematica è sicuramente la sua frenesia, un tipo di frenesia che in molte occasioni non è necessaria. Fin dall’inizio il film parte con un ritmo spedito e poche volte si ferma a respirare. Nelle singole scene si tengono a mettere troppi elementi vivaci, come nel prologo con i personaggi che vanno a destra e manca con momenti esagerati e tantissimi eventi che hanno luogo in pochissimi minuti. Questa pellicola cade nell’errore che fanno alcuni film per i più piccoli dove, per tenere alta l’attenzione, fanno succedere di tutto nel giro di qualche secondo senza mai fermarsi. Anche i momenti slapstick, che a volte sono simpatici, risultano essere eccessivamente pieni e anche il modo con cui il tutto è animato non aiuta tanto. Per quanto riguarda il design, il regista decise di ispirarsi proprio ai corti Disney degli anni ’40, con i tratti rotondi e la loro semplicità. L’idea è molto buona ma a mio avviso non funziona bene con questo tipo di 3D. Il problema è che in certi punti sembra di vedere un misto tra modello 3D e un disegno 2D, si crea uno strano contrasto in cui manca la tridimensionalità e la profondità, dando l’impressione che non fossero del tutto pratici con questa nuova tecnologia. Quello che invece trovo davvero ottimo riguarda gli sfondi. Infatti per quest’ultimi, a livello di illuminazione, di colori e anche di messa in scena, si sono ispirati molto agli sfondi di Mary Blair, una grande artista che per la Disney lavorò a Peter Pan e soprattutto ad Alice nel Paese delle Meraviglie (e sapete quanto ami quest’ultimo). Inoltre le strutture così cartoonesche e volutamente storte e semplici mi piacciono molto a livello visivo e funzionano benissimo, dando un bel tocco all’opera. Il vero problema però è uno: la sceneggiatura. Iniziamo dai lati positivi.

Certamente la cosa migliore di quest’opera è che non perdono di vista la tematica principale ossia il rapporto padre-figlio. Un rapporto mostrato in modo interessante visto che è il figlio che cerca di avvicinarsi alla figura paterna. I loro momenti sono i migliori anche perché è lì che il film finalmente rallenta e ottiene un bel ritmo, mostrando le difficoltà dei due nell’aprirsi. Da piccolo non apprezzavo per niente il personaggio di Peppo Gallo proprio perché non sosteneva mai suo figlio se non quando vinceva la partita di baseball. Però anche questo punto viene reso bene con Chicken Little che alla fine gli fa notare il suo comportamento scorretto e anche la sua ipocrisia e alla fine il padre si rende conto di tutto ciò, cercando di farsi perdonare stando dalla parte di suo figlio e prendendo coscienza di sé e delle proprie azioni. Questa è sicuramente la parte migliore ma il resto è un vero e proprio caos.

Vediamo per esempio come la pellicola cambia totalmente registro. Nella prima mezz’ora il film parla della vita di Chicken Little, un vero e proprio slice of life con la situazione scolastica e tutto l’impegno che ci mette per il baseball. Poi, quando effettivamente vince la partita, c’è una svolta brutale: ci sono gli alieni. L’arrivo di quest’ultimi giunge in maniera improvvisa, nella mezz’ora precedente non c’è assolutamente nulla che ci faccia presagire la loro venuta o la loro presenza, quindi a volte sembra di guardare due idee differenti per lo stesso film che hanno deciso di utilizzare insieme senza far alcun tentativo per unirle. Questo è uno dei problemi più evidenti ma ce n’è un altro più grave: questo film non sa cosa vuole essere.
Ha tantissimi generi differenti tra commedia, fantascienza, formazione, avventura, critica sociale, ma tutti questi generi non riescono mai ad amalgamarsi insieme e in diversi punti stonano tra loro, tante cose sembrano forzate anche quelle più piccole come ad esempio le numerose citazioni alla cultura pop come canzoni e parodie di scene famose, una sorta di ispirazione a Shrek, solo che quest’ultimo riusciva a farlo con incredibile naturalezza. In un certo senso la Disney con questo film mi è sembrata completamente persa, una Disney che dopo numerosi flop aveva deciso di seguire la scia della Pixar e della Dreamworks (e anche altri nuovi studio come Blue Sky Studios), dimenticandosi però cosa l’aveva resa grande e dimenticandosi anche di scrivere una sceneggiatura solida. E mi dispiace tanto perché un film che ha come protagonista degli outsiders, gli sfigati, come Chicken Little e i suoi amici mi fa sempre piacere.

Per concludere, Chicken Little è un film che ha diversi problemi nel lato tecnico ed enormi problemi con la sceneggiatura, dove si mostrano diversi generi che non riescono a stare bene insieme e con una trama che cambia all’improvviso e senza alcun motivo. Certamente è il peggior classico ma non è una vera e propria tragedia, come ho visto spesso anche da parte di altri grandi studios. Ciò che lascia sorpresi e delusi è che sia proprio la Disney a presentare un’opera così problematica.

Spero che la recensione vi sia piaciuta.
Alla prossima!

[The Butcher]

27 pensieri riguardo “Chicken Little

      1. Il suo mondo totalmente privo di senso mi diverte;
        il sottotesto gay di Mastro Aldino Cotechino mi fa ridere;
        la critica al successo facile della popolarità anche davanti al “cielo che crolla” mi interessa;
        che tutto sia dovuto a una famiglia “inconscia” (quella degli alieni) in apprensione, specchio della famiglia di diegesi altrettanto in apprensione, lo trovo azzeccato;
        adoro Kirby quasi più di Pascal;
        la sua deformazione musicale, perfino dalle parti di Moulin Rouge in quanto a idea di musical, era stra-avanguardia dadaista;
        e la presa in giro finale sul film tratto dal film la trovo spassosa…

        1. Concordo appieno sulla presa in giro finale su come Hollywood realizza certe storie. Per il resto però lo trovo un film caotico che non aveva un’idea ben precisa di cosa volesse veramente essere e anche le belle idee che aveva sulla famiglia e sul rapporto padre-figlio non sono mostrate benissimo per colpa di un ritmo troppo frenetico. Per me qui la Disney era completamente persa, ma ho trovato la tua analisi davvero interessante e approfondita!

  1. Concordo in larga parte, secondo me il personaggio del padre poi è scritto davvero male: il redemption arc non viene nemmeno completato a pieno e a un certo punto anzi ritorna agli stessi atteggiamenti di prima

    1. È proprio quello il problema. L’idea di base era veramente ottima ed ero felice che volessero mostrare la tematica padre-figlio in maniera diversa dal solito, ma la scrittura era troppo superficiale soprattutto per quanto riguarda il padre. Certo le scene in cui i due interagiscono sono le miglioro, però dovevano incontrarsi molto di più su di loro se volevano chiudere la loro storia nel modo migliore.

  2. Non l’ho mai visto… e forse ho fatto bene. Comunque, era anche il periodo in cui la Disney era in crisi, veniva fuori dal Rinascimento dove aveva dettato legge (artisticamente, prima che economicamente), ed ora vedeva che le concorrenti facevano meglio e commise l’errore più marchiano che potesse commettere: copiare.

    La tua riflessione sulla freneticità di questo film è interessante, e purtroppo è un concetto che molti autori non capiscono. Una storia non può andare sempre a cento all’ora, non solo perché chi ne fruisce non le sta dietro, ma anche perché, per quanto possa sembrare paradossale, ad un certo punto si stanca di tutto quel correre. Un illusionista molto bravo (sono un appassionato) durante una sua conferenza disse: se prendo questa sedia e di punto in bianco la faccio volare, il pubblico è stupito; ma se per due ore non faccio altro che fare volare sedie, per quanto possa essere straordinario, il pubblico dirà: basta, fai un trucchetto con le carte!

    1. L’esempio che hai fatto con l’illusionista e la sedia è perfetto per spiegare al meglio questo concetto nel mondo del cinema. Questo errore l’ho visto spesso nel mondo dell’animazione (in film tra l’altro veramente pessimi) ma succede anche nel cinema d’azione. Bisogna saper prendersi delle pause, a volte bisogna fermarsi per far riprendere fiato e questo era un errore che la Disney fino a quel momento non aveva mai commesso in nessuno dei suoi film. In ogni caso hai detto bene anche sulla Disney e sull’errore di voler copiare. A mio avviso doveva prendere una strada differente, rimanere ancorati a certi loro concetti invece che copiare le commedie realizzate con l’animazione 3D. Capisco benissimo che volessero utilizzare quella nuova tecnologia e padroneggiarla, ma in questo periodo sperimentale si vede che ancora non aveva ben chiaro come usarla e che stile darle. Fortunatamente poco dopo arrivò Lasseter e la Pixar che diedero le giuste indicazioni allo studio.

        1. Di quei tempi, la Pixar ha sempre sfornato delle vere e proprie opere, u loro film migliori in assoluto. E sì, Cars fu certamente l’anello debole anche se alla fine non è affatto un brutto film, anzi ha diversi elementi positivi. Certamente però gli mancava la maturità tipica della Pixar dei tempi d’oro.

            1. No, era ancora Pixar. L’acquisizione da parte della Disney avvenne nel 2006, anno in cui uscì Cars e il film era in produzione da molto tempo. Diciamo che la Pixar si sente fortemente fino a Toy Story 3. E fino a quel film la Pixar era incredibile.

              1. No, nel senso che non mi sembra nello stile Pixar. Mi sembra molto più un film Disney, anche per la costruzione dei personaggi (molto più “toy oriented”, se capisci cosa voglio dire).

                1. Sì, capisco cosa intendi ma diciamo che mantiene comunque lo spirito Pixar, anche se in maniera più infantile. Questo d’altronde era un film voluto parecchio da Lasseter visto che era appassionato di macchina e della Route 66. Quindi in un certo senso c’è molto di lui. Io che è peculiare, visto le grandi cose che aveva fatto con i primi due Toy Story e Bug’s Life.

    1. Da piccola quella parte non mi impressionò ma alla fine da piccoli ci impressionavamo per diverse cose. Pensa che io da piccolo avevo paura del film americano di Godzilla del ’98.

  3. Allora. Le idee e le occasioni per farne un buon film c’erano, alcune scene le trovo memorabili ma forse il target a cui si riferisce è davvero troppo giovane per poter essere apprezzato anche da altre fasce d’età. Ce l’ho in dvd eh, ogni tanto lo riguardo ma ho sempre la sensazione che sia stata un’occasione mancata.

    1. Le idee non mancavano, questo è vero. Però rimane un lavoro veramente confuso e caotico e, come ho scritto anche alla fine, mi dispiace molto visto che poteva dare qualcosa di più.

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