La stella di Andra e Tati

In occasione della Giornata della Memoria, sono qui per narrarvi la storia di due sorelle che sono sopravvissute all’Olocausto.
Tatiana Bucci (Fiume, 19 settembre 1937) e Alessandra Bucci (Fiume, 1º luglio 1939), salve grazie alla fortuna di essere sembrate gemelle agli occhi dei nazisti.
Dedicata alla loro storia sono stati fatti un cortometraggio e un libro illustrato, intitolati “La stella di Andra e Tati”.

La trama di entrambi è pressoché la stessa, ma il film (cortometraggio di circa 30 minuti) toglie spazio alla storia delle due sorelle, aggiungendo gli eventi di una scolaresca che va a visitare Auschwitz – Birkenau. Una parte secondo me ingenua, che risulta alla fine poco utile, anche se il messaggio rimane bello e interessante.
Il libro si concentra solo sugli eventi che coinvolgono due bambine, approfondendo di più la loro storia.

Figlie di Giovanni Bucci, cattolico Fiumano, e di Mira Perlow, ebrea, di origine Bielorussa, i cui parenti fuggirono in Italia dai pogrom zaristi, agli inizi del 900, Andra e Tati conducevano una vita pressoché normale, nonostante il dilagare della guerra. Un giorno la sorella della madre, Gisella, che viveva a Napoli, venne a vivere a Fiume insieme a suo figlio Sergio, il cuginetto di Andra e Tati. (Gisella rimpiangerà questa scelta tutta la vita, in quanto poi Napoli venne liberata dagli alleati e gli ebrei furono salvi).
Vivevano tutti insieme, con la nonna, che andava sempre in sinagoga. Andra e Tati sono per metà ebree e sono battezzate. Credevano che questo sarebbe bastato a proteggerle.
I giorni passano, i bambini giocano tra loro, ma presto notano come gli altri ragazzini, prima loro amici, adesso li schivino… tutto perché sono ebrei e giocare con loro può essere pericoloso. Anche andare a fare la spesa è diventato un problema; in molti negozi gli ebrei non possono più entrare, quindi la mamma ritorna a casa a mani vuote, lasciando confuse le due bambine.
Ma non sanno che il peggio deve ancora venire.
Il 28 marzo 1944, a causa di una denuncia da parte di un altro ebreo, tutta la famiglia (a eccezione del padre, che era in guerra e comunque era cattolico) verrà arrestata e deportata. In un notte i nazisti fanno irruzione in casa Bucci, devastando la casa e obbligando la famiglia a raccattare poche cose possibili per poi salire su una camionetta, stipati insieme a molte altre persone, nel buio, impaurite. Sarà solo l’inizio di un lunghissimo viaggio verso il campo di concentramento e sterminio, Auschwitz – Birkenau, stipati in un treno merci, senza posti a sedere o finestrini da cui guardare. Tanto meno, senza acqua, cibo e riposo. Però Mira, la madre di Andra e Tati, avrà la possibilità di scrivere un biglietto per suo marito, che lascia scivolare fuori dal treno, a una stazione.
Arrivati al campo di sterminio, la nonna viene fatta salire su di una camionetta, diretta alle camere a gas.
Come in un preciso sistema di ingranaggi, vengono messi in fila, fatti spogliare, gli vengono dati vestiti logori e troppo larghi, oltre che troppo leggeri per il terribile freddo che fa lì in Polonia, gli adulti vengono rasi a zero e a tutti viene tatuato un numero sull’avambraccio. Mira, tatuata prima delle bambine, sorride ad Andra e Tati, dicendo che non fa male, è solo un pizzico. Le bambine riusciranno a non piangere. Non avevano lacrime da versare.
Subito dopo le due sorelline e Sergio, il cugino, vengono separati dalle madri. La disperazione dilaga.
I bambini vengono portati al Kinderblock, la baracca dove venivano tenuti i bambini destinati agli esperimenti del dottor Josef Rudolf Mengele. Probabilmente Andra e Tati sono state scambiate per gemelle, merce preziosa per gli esperimenti.
Da lì in poi i giorni trascorreranno tutti uguali. Sergio sarà sempre depresso e piangerà spesso, mentre Tati sarà costretta a crescere, per occuparsi degli altri, specialmente di sua sorella Andra. I giorni erano scanditi dall’arrivo del misero pasto, una zuppa che la blokova portava loro (la donna che si occupava dei bambini del Kinderblock), che faceva schifo ma che i bambini potevano arrivare a litigarsi a causa dei crampi terribili generati dalla fame.
Senza approfondire oltre, un giorno la blokova, che ha preso in simpatia le due sorelline, le avvisa che sta per arrivare un uomo che chiederà loro se vogliono rivedere la mamma. La risposta dovrà essere no. Da quello strano avvertimento incomprensibile, Andra e Tati si salvarono la vita quando Mengele arrivò alla loro baracca e propose ai bambini di rivedere le loro mamme, se lo avessero seguito. Sergio, purtroppo, cadrà nella trappo la Mengele, nonostante l’avvertimento delle sorelle.
Lo videro salutare felice dal treno merci in cui i bambini furono caricati e da allora non ne seppero più niente.

Il film è più riassuntivo e con i momenti della scolaresca troppo accennata, che stona un po’, fino a risultare quasi fuori contesto, ma insieme al libro, trasporta il lettore nel freddo e grigio mondo del campo di sterminio.
I bambini non avevano nulla da fare durante le giornate e a stento ricordavano persino il loro nome, sostituito dal numero che avevano tatuato sull’avambraccio. Non era possibile possedere niente e perdere la propria scodella del cibo significava non mangiare più. Gli unici giocattoli a disposizione erano sassi, neve e a volte bastoncini di legno. Le due sorelle, con gli altri bambini, giocavano, ma non ne traevano alcun piacere. Sergio spesso se ne stava da solo, a singhiozzare e a scrutare l’orizzonte.
I morsi della fame, gli artigli del freddo, la paura e l’orrore, sono ben descritti nel libro, nonostante sia indirizzato ai più giovani.
Le bambine con fatica ricorderanno per molto tempo di essere vissute in Italia, a Fiume, di conoscere l’Italiano, di aver avuto dei genitori. Di essere state degli esseri umani.
L’arrivo dei Russi le salverà, ma questo sarà solo l’inizio di un lungo viaggio che alla fine le riporterà a casa.

I disegni e lo stile, sia del libro che del film, sono stupendi, con ombre che donano profondità. Contribuiscono anche a sottolineare la degradazione e deumanizzazione del campo di sterminio.

Il film è disponibile, gratis, su raiplay.

Non impiegherò molto tempo a parlare della parte del film sulla scolaresca, ma penso che avrebbero potuto evitare di metterla o avrebbero dovuto farla meglio.
L’intento era di mostrare come dei ragazzi, che sottovalutano quanto è accaduto e persino dubitano che sia successo davvero, alla vista delle prove schiaccianti presenti ad Auschwitz – Birkenau possa arrivare a sconvolgere e appesantire, con la sua verità penetrante.
L’intento era lodevole, ma non ben riuscito. Questo perché spezza il ritmo e stona con le atmosfere che vuole dare il film.

Nel libro ci sono molti più dettagli e la storia è interamente dedicata a Andra e Tati.

Ai giorni nostri, Andra e Tati sono ancora vive e ogni anno accompagnano le scolaresche al campo di sterminio, narrando la loro storia.

Nella foto, Tati e Andra, con loro cugino Sergio.

Shiki Tima Ryougi

40 pensieri riguardo “La stella di Andra e Tati

      1. A che età i bambini possono vedere questo cartone?
        Ho letto che la lettura è consigliata a 10 anni mentre la visione a che età? In prima elementare mi sembra un po’ eccessivo.
        Il ministro dell’istruzione cosa ne pensa?

        1. Ciao.
          Io non so cosa ne pensa il ministro dell’istruzione quindi le darò solo la mia opinione.
          Il cartone, secondo me, può essere visto dai bambini dagli 8 anni in sù.
          I bambini di prima elementare sono troppo piccoli per capire bene e potrebbero rimanerne turbati.

  1. Ho conosciuto le sorelle Bucci in occasione di un viaggio col Treno della memoria, più di dieci anni fa. La loro storia, davvero toccante, la racconta molto bene Titti Marrone in Meglio non sapere, un libro del 2006, edito da Laterza. Pochi giorni fa sempre di Marrone è uscito Se solo il mio cuore fosse pietra, Feltrinelli, che parla di una villa in Inghilterra dove dopo la fine della seconda guerra mondiale molti bambini sopravvissuti ai lager furono ospitati in attesa di potersi ricongiungere ai loro familiari: tra questi anche Andra e Tatiana.

  2. Storia triste…il piccolo è un simbolo della ingenua visione della vita davanti alla perversione nazista.
    Non ho visto il film ma provvedo. Grazie per avermelo fatto conoscere.

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