Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Nello scorso articolo abbiamo parlato di una pellicola molto interessante diretta da un’artista altrettanto affascinante, The German Doctor. Il film parla dell’esilio del criminale nazista Josef Mengele in Argentina e più precisamente in Patagonia. Qui lui incontra una famiglia argentina di cui si interessa, specialmente della figlia, Lilith, nata prematuramente e che dimostra meno anni di quelli che ha. Così lui inizia a fare delle sperimentazioni su di lei con gli ormoni della crescita, mostrandosi il folle che è sempre stato. Una storia molto interessante che parla di uno dei criminali nazisti più crudeli e spietati di sempre in maniera particolare, descrivendo il suo esilio in Argentina, il rapporto con questa famiglia, il modo in cui conquista la loro fiducia. La regista, che scrisse anche l’omonimo libro da cui è tratto il film, riesce a parlare in maniera intelligente di questo criminale e della sua follia, mostrandoci un uomo all’apparenza normale sia nel comportamento che nell’aspetto, e muove anche una critica forte verso il suo stesso Paese che accolse diversi criminali nazisti. Una pellicola da vedere assolutamente.
Questa volta cambiamo completamente film e torniamo a parlare dei miei generi cinematografici preferiti: l’horror e il fantascientifico. Come molti di voi sapranno, ho un debole per questi due generi ma rimango veramente affascinato quando li uniscono. Non a caso uno dei miei film preferiti in assoluto è Alien di Ridley Scott (e immagino che sia “colpa” sua se ho questa passione. Un giorno parlerò di quel capolavoro). Quindi tendo a buttarmi quando vedo una pellicola con tali caratteristiche. A volte trovo una piacevole sorpresa e altre una cantonata pazzesca, ma è anche questo il bello del cinema. In questo caso parliamo di una co-produzione irlandese-svedese-belga.
Ecco a voi Sea Fever, pellicola horror fantascientifica del 2019 scritta e diretta da Neasa Hardiman.
Trama:
Siobhàn (Hermione Cornfield) è una studentessa universitaria che si occupa dei modelli comportamentali della fauna acquatica. Lei è una ragazza che ha molti problemi nel socializzare e, per ottenere il dottorando, sarà costretta ad andare su un peschereccio per continuare le sue ricerche, il Niamh Cinn Óir, che appartiene a Gerard (Dougray Scott) e sua moglie Freya (Connie Nielsen). La situazione per i due non è ottima e se non riescono a prendere un po’ di pesci, rischiano di perdere la nave. Così Gerard decide di portare l’equipaggio in una zona d’esclusione, visto che lì si trovano molti pesci. Quando arrivano in quel punto però la nave si ferma, come se si fosse incagliata in qualcosa. Quando Siobhàn va a controllare, scopre che a bloccare il peschereccio sono dei tentacoli appartenenti a un gigantesco organismo bioluminescente. Non riescono a staccarsi dalla creatura e si pensa al peggio quando improvvisamente l’essere li lascia andare. Sembra che la situazione si sia risolta per il meglio, ma quell’organismo ha lasciato qualcosa nella nave, qualcosa che farà sprofondare l’intero equipaggio in un vero e proprio incubo.
Leggendo la trama sono rimasto colpito da questo film. Non perché abbia una storia mai vista, anzi ce ne sono tantissime di pellicole simili ispirate ad Alien, ma proprio perché fa parte di quel filone in cui un gruppo di persone si ritrova isolato con una creatura sconosciuta. Tempo fa ne avevo affrontato uno simile ambientato proprio negli abissi, Underwater, e sono felice di parlare di una pellicola ambientata in mare. Però devo anche ammettere che la storia ha avuto un risvolto molto interessante.
La pellicola parte con molta calma, concentrandosi principalmente sulla protagonista e poi sull’equipaggio. Siobhàn si dimostra una ragazza molto dedita agli studi ma con enormi problemi nel socializzare, stare insieme agli altri le causa grande disagio, talmente tanto che sulla barca preferisce isolarsi, arrivando perfino a saltare la cena perché non riesce a integrarsi con loro. Come se non bastasse, c’è anche un altro problema: lei è rossa e, nelle superstizioni navali nordiche, chi è rossa porta sfortuna. Si arriva poi alla situazione in cui si scontrano con questo organismo gigante, ma la colpa non è certamente di Siobhàn e dei suoi capelli rossi, ma della scelta del capitano.
Fin qui sembra quasi che il film viri proprio verso Alien, quasi a voler mostrare una sorta di monster movie molto particolare, dato che questo essere non sembra intenzionato ad attaccarli. Invece avviene un cambiamento importante quando la creatura trasmetterà dei parassiti che possono infestare le persone. Quindi la pellicola cambia registro e si trasforma in una storia incentrata su un contagio. So che non è proprio periodo e infatti il film venne realizzato poco prima e uscì in un momento davvero sfortunato, ma già qui parlava del pericolo del contagio e della quarantena in un modo che ormai conosciamo fin troppo bene.
Quindi ci troviamo con un gruppo di persone isolate dal mondo, senza alcuna possibilità di contattare altri, ad affrontare un parassita sconosciuto che uccide le persone, e che in certi casi può renderle anche violente, senza neanche sapere come avvenga il contagio. Da Alien ci spostiamo ad La Cosa di Carpenter in maniera davvero affascinante e la regista riesce a rappresentare bene la paranoia, dove nessuno sa chi è contagiato e chi no. Anche la morte che avviene per mano di questo parassita è terrificante, visto quello che succede alla prima vittima. Non vi dico niente, ma è una delle poche scene splatter del film. Ed è proprio qui che Siobhàn, dapprima molto chiusa e poco collaborativa, prende in mano la situazione. Lei sa meglio di chiunque altro l’enorme pericolo che stanno vivendo e decide di capire e studiare questo fenomeno e questo parassita. Infatti è lei ad attuare i piani per controbattere il parassita dentro la nave ed è lei che comprende il suo funzionamento. Il suo personaggio subisce un’ottima crescita, inizia ad agire in maniera decisa e per farlo deve ovviamente chiedere l’aiuto dell’equipaggio. Alcuni la supportano ma per lo più saranno scettici nei suoi confronti, soprattutto quando lei parlerà di quarantena.
Da questo punto in poi si discuterà in maniera matura della tematica della responsabilità. Sembra qualcosa di scontato, ma non lo è proprio (visto anche come certe persone cerchino di evitarla). Devono fare in modo di contrastare il parassita se possibile e soprattutto devono evitare a tutti i costi che arrivi sulla terraferma. Ci saranno però dei contrasti perché, visto che alcuni membri stanno molto male e rischiano di morire, i loro amici vorrebbero salvarli a ogni costo e non sacrificarli per il bene di altre persone. Il film in questo caso sa dimostrarsi molto drammatico, mettendo in mostra personaggi molto umani e credibili per cui proveremo pena.
Per concludere, Sea Fever è un fanta-horror davvero molto affascinante che racconta una storia già vista molte volte, ma con uno stile tutto suo, rendendo la visione del film piacevole e suscitando vivo interesse nel pubblico. Una pellicola con dei bei personaggi e delle scene molto ben fatte. Lo consiglio caldamente.
Spero che la recensione vi sia piaciuta.
Alla prossima!
[The Butcher]
Malgrado sia così recente non l’ho mai sentito nominare. Ma non so se riuscirei a vederlo, per via di una cosa che non mi sento di condividere in pubblico.
Cambiando discorso, anche in Italia i capelli rossi erano sinonimo di sfortuna, o di legame col diavolo. Un po’ lo sapevo, ma ho trovato conferme facendo ricerche per una fiaba ambientata nella seconda metà del XIV secolo.
I capelli rossi sono sempre stati visti come simbolo del diavolo per qualche motivo (immagino per la loro rarità e per il rosso che indica l’inferno), ma rimasi sorpreso quando per le popolazioni nordiche era simbolo di malasorte avere qualcuno così in nave. Di solito il concetto era che se c’era una donna a bordo, allora era simbolo di sfortuna. Immagino che per certe cose i nordici fossero più aperti (più o meno)
ti consiglio anche Dead in the water^^
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