I tre volti della paura

Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Sono molto soddisfatto degli ultimi film che abbiamo recensito. Non sono soddisfatto al 100% degli articoli, probabilmente avrei potuto dire di più o approfondire meglio, ma sono comunque soddisfatto delle opere che ho portato, delle opere molto interessanti e molto diverse tra loro. Film unici che riuscivano a mischiare i generi e a creare una storia molto interessante o comunque film curati nel lato tecnico e capaci di divertire. L’ultimo articolo ad esempio lo abbiamo dedicato a Tideland, pellicola diretta Terry Gilliam, che non viene citata quasi mai. Possiamo definire questo film come una fiaba nera senza una vera trama che segue le avventure di questa bambina in un luogo completamente sperduto, avventure che lei inventa nella sua immaginazione e che vive con i pochi e bizzarri personaggi che interagiscono con lei. E’ un’opera molto particolare, folle e psichedelica sia nella narrazione sia nella regia, capace però di affascinare lo spettatore e di amalgamare i vari generi e stili registici per creare un film unico e inimitabile. E’ stata una pellicola davvero interessante e parlando di film interessanti questa volta ho intenzione di spostarmi in Italia. Ci sono tre registi che hanno fatto la storia che vorrei portare in maniera approfondita sul blog e sono Mario Bava, Lucio Fulci e Dario Argento. Di Fulci non ho ancora discusso niente (e ciò mi dispiace) mentre di Argento ho parlato solo del suo primo lungometraggio, L’uccello dalle piume di cristallo. Di Bava invece ho già discusso di alcuni dei suoi film e di questa cosa sono molto contento visto che rispetto profondamente le sue opere e dei tre probabilmente è quello che preferisco (anche se Fulci per me è a pari merito). Visto che con Mario Bava siamo messi a buon punto ho deciso di continuare a parlare delle sue opere (se continuiamo con questo ritmo tra 10 anni probabilmente riuscirò a parlare di tutti i suoi film. Sono lento purtroppo). Diciamo che con i suoi film stiamo procedendo più o meno in senso cronologico e voglio continuare su questa strada ed è per questo motivo che oggi parlerò di questa pellicola, uno dei lavori più conosciuti e amati del grande maestro.
Ecco a voi I tre volti della paura (conosciuto a livello internazionale con il nome di Black Sabbath), film horror a episodi del 1963 scritto da Mario Bava, Alberto Bevilacqua e Marcello Fondato, diretto da Mario Bava e basato su tre racconti del terrore di vari scrittori.

Qui stiamo parlando di un film veramente importante, di un film che ha fatto la scuola e che in tanti hanno citato e omaggiato in tutti i modi, in particolare l’ultimo episodio, ma ci arriveremo più tardi. Il 1963 è stato un bell’anno per Mario Bava perché non solo uscì I tre volti della paura, ma arrivò nelle sale anche il bellissimo La donna che sapeva troppo, il primo giallo all’italiana mai fatto che diede le basi per questo genere nostrano. Un film che purtroppo non ebbe un buon incasso al botteghino italiano ma che almeno ebbe un successo migliore all’estero specialmente negli Stati Uniti (nonostante non eguagliò gli incassi del magnifico La maschera del demonio). Questo film comunque poteva vantare di nomi internazionali (era una produzione italiana ma avevano partecipato al progetto anche Francia e Stati Uniti, tra cui la casa di produzione AIP che aveva distribuito in America La Maschera del Demonio) tra cui il grande Boris Karloff che non solo interpreterà un ruolo di rilievo in uno degli episodi ma introdurrà il film a noi spettatori e ci darà anche i saluti finali (ma su quest’ultimo punto ci torneremo molto più avanti).

Dopo quest’introduzione iniziamo parlando del primo episodio intitolato Il telefono.
Trama:
La storia è basata su un racconto di F.G. Snyder anche se, non so per quale motivo, nel film venga accreditato a Guy de Maupassant.
Rosy (Michèle Mercier) torna a casa dopo aver passato la serata fuori e quasi subito inizia a ricevere delle strane chiamate. Inizialmente sono chiamate silenziose ma alla fine l’interlocutore si mette a parlare dicendo di conoscere molto bene Rosy e affermando che vuole ucciderla. Come se non bastasse, questa persona sembra sapere tutto ciò che fa Rosy, com’è vestita e ogni azione che compie. A un certo punto la donna inizia a pensare che questa persona di il suo ex, Frank (Milo Quesada), appena evaso di prigione. Rosy, spaventata e impossibilitata dal chiamare la polizia, decide di rivolgersi alla sua amica Mary (Lydia Alfonsi), amica con cui ha litigato ma che adesso sembra l’unica a cui potersi affidare.

La ragazza che sapeva troppo è stato il primo film a introdurre il giallo all’italiana ma anche in questa pellicola è presente questo genere. Infatti questo primo episodio si può definire in tutto e per tutto un giallo all’italiana e, insieme a La ragazza che sapeva troppo, uno dei primi esempi in assoluto. Un episodio interessante per svariati motivi: prima di tutto per l’ambientazione. Questa parte ha una sola location ovvero l’appartamento della protagonista. Tutta la storia sarà ambientata lì dentro e questo luogo riuscirà a creare un senso di claustrofobia. Il suo appartamento dovrebbe essere un luogo sicuro che può proteggerla, ma in questo caso diventa una vera e propria prigione. Rosy si ritrova intrappolata lì dentro con una persona che la chiama sempre e che conosce esattamente ogni suo movimento, come se fosse lì vicino e la osserva continuamente. E’ un’idea messa in scena benissimo dove la protagonista non riuscirà a sentirsi al sicuro neanche per un minuto.
C’è poi un altro elemento che si rivela molto interessante ed è il rapporto che ha con l’amica e soprattutto il comportamento di Mary. Il rapporto tra le due non è di semplice amicizia ma si intravede la tematica omosessuale che rende la situazione molto più affascinante e interessante. Mi dispiace solo che nella versione americana abbiano fatto di tutto pur di eliminare questo elemento, trasformando questo giallo in una storia di fantasmi. Una censura alquanto bigotta che a mio avviso rovina la bellezza di questo episodio. Per quanto mi riguarda però è stato un inizio ottimo.

Ora passiamo al secondo episodio intitolato I Wurdalak, tratto da un racconto di Aleksej Konstantinovič Tolstoj.
Trama:
Il nobile Vladimir D’Urfe (Mark Damon) trova nel suo cammino un cadavere decapitato e con un pugnale conficcato nella schiena. Lui vede lì vicino una casa e decide di dirigersi lì per trovare riparo ma soprattutto per sapere di chi è quel cadavere. In quella casa trova una famiglia composta da Sdenka (Susy Andersen), Pietro (Massimo Righi), Giorgio (Glauco Onorato), Maria (Rika Dialina), moglie di Giorgio e loro figlio Ivan. Loro spiegano a Vladimir che loro padre Gorca (Boris Karloff) è partito da quasi cinque giorni per dare la caccia a un wurdalak, una sorta di vampiro che da un po’ di tempo stava terrorizzando la zona e probabilmente il cadavere trovato da Vladimir appartiene proprio a quella creatura, visto che il pugnale che ha rinvenuto appartiene proprio a Gorca. La famiglia però adesso è preoccupata proprio da Gorca. Se lui torno dopo la mezzanotte del quinto giorno, loro saranno costretti a ucciderlo trafiggendogli il cuore perché significherebbe che anche lui è diventato un wurdalak e le prime persone che questi esseri cacciano sono coloro che hanno amato di più quando erano vivi. Scoccata la mezzanotte del quinto giorno Gorca fa ritorno. Ma sarà davvero lui o si è trasformato?

Questo secondo segmento è il più lungo dei tre ed è anche l’unico ad avere ambientazioni esterne. L’episodio infatti inizia con Vladimir che cavalca su queste luoghi desolati ma affascinanti coperti dalla nebbia e, essendo ambientato tutto di notte, con un’illuminazione bluastra che rende quest’ambientazione molto gotica. Per la maggior parte però questa parte sarà ambientata principalmente nella casa di questa famiglia (ci sarà in seguito anche un cimitero molto bello e realizzato con intelligenza). Nella prima parte dell’episodio la tensione si baserà sul dubbio riguardo Gorca: sarà un wurdalak oppure no? Il dubbio scaturirà dal fatto che lui è arrivato proprio allo scoccare della mezzanotte. Gorca sembra diverso ma potrebbe comportarsi così per i giorni faticosi che ha dovuto affrontare e in ogni caso riesce a farsi accettare dalla sua famiglia anche se con un po’ di titubanza.
Nella seconda parte invece Gorca rivela la sua natura vampiresca e la situazione per la famiglia e Vladimir inizia a crollare. Qui Karloff riesce a inquietare non solo per il suo aspetto ma anche per la sua bravura nella recitazione e ciò che inquieta ancor di più della sua persona è il fatto che quasi per tutto il tempo non sbatta le palpebre, un indizio della sua natura da non morto. Non sarà solo Karloff a tenere in tensione lo spettatore ma anche l’ottima messa in scena di Bava. Dei momenti che sono stati resi molto bene sono quelli in cui Karloff osserva le persone da dietro le finestre e, con lo sfondo blu lì presente, queste scene riescono ad avere un che di sovrannaturale e spaventoso. Un’episodio davvero interessante che introduce dei vampiri molto affascinanti e che riesce a convincere grazie alla sua fotografia curata e all’ottima interpretazione degli attori.

Passiamo ora al terzo e ultimo episodio intitolato La goccia d’acqua e tratto da un racconto di Anton Čechov.
Trama:
Helen Chester (Jacqueline Pierreux) è una donna di servizio che si occupa della vestizione di cadaveri. Appena tornata a casa viene chiamata subito da un’infermiera (Milly Monti) che le chiede di venire nella sua residenza per visitare una nobildonna morta quella sera stessa. L’infermiera, spaventata, racconta che la donna era molto sola e da un po’ di tempo ogni venerdì faceva delle sedute spiritiche e che lei è morta proprio durante una di queste sedute. Helen veste il cadavere, che ha un’espressione terrificante sul volto, ed è in quel momento che nota un anello prezioso sul dito della signora. Helen, senza farsi vedere dall’infermiera, sfila l’anello dal cadavere. Quando torna a casa però la protagonista inizia a notare degli eventi molto strani. Una mosca si posa sul suo dito quando indossa l’anello (com’era successo a casa della morta) e inizia a sentire il rumore di una goccia d’acqua che cade ovunque. Questo sarà solo l’inizio dell’incubo.

E siamo arrivati all’ultimo episodio, l’episodio più bello di tutti e anche quello che viene citato in tantissime opere e da molti registi. Questo segmento fonte è stata una vera e propria fonte d’ispirazione per film e artisti ed è un episodio che amo parecchio anch’io. E’ il più corto dei tre ma è anche quello che lascia un certo impatto. All’inizio rimaniamo affascinati dall’enorme casa della nobildonna, un luogo che un tempo doveva essere maestoso ma che adesso è vuoto e poco curato, a sottolineare la povertà che gravava su di lei. Inoltre vedremo anche un particolare utilizzo delle luci dove in certe zone è viola mentre in altre è rossa. Poi l’azione si sposta a casa di Helen e qui si rimane affascinati per molti elementi. Il primo riguarda sempre la fotografia con colori che passano dal rosso, al viola e al verde, un tipo di fotografia simile a quella che poi Bava utilizzerà nel meraviglioso Sei donne per l’assassino. E questo tipo di luci riesce a creare un enorme contrasto in quest’ambiente. Anche la luce a intermittenza che si vedrà fuori dalla finestra di Helen serve a creare la giusta atmosfera. Un altro elemento molto importante riguarda il suono. Quando inizieranno a cadere le gocce d’acqua, tutti gli altri rumori spariranno e si sentirà solamente questo gocciolio tremendamente rumoroso e che rimbomberà per tutte le stanze, un rumore che riuscirà a creare proprio ansia perché sembra indicare l’inizio di qualcosa di orrendo. Infine parliamo del cadavere della donna. Quel design è incredibilmente inquietante, con i capelli grigi scompigliati, gli occhi enormi che sembrano uscire fuori dalle orbite, il volto teso all’inverosimile e i denti digrignanti, tutte queste particolarità mettono ribrezzo. Questo cadavere è stato creato e scolpito dal padre di Bava, Eugenio Bava, e il risultato che è riuscito a ottenere è a dir poco impressionante e in molti momenti sembra davvero reale, rendendola così ancor più inquietante.

Il film infine si conclude con Boris Karloff nei panni di Gorca che saluta il pubblico ed è qui che avviene qualcosa di inaspettato. La telecamera si allontana da Boris e vediamo che lui è sopra un cavallo di legno e intorno si vede il set e diverse persone che lavorano alla scena. Questo è stato uno dei primi film a mettersi a nudo e a mostrare la finzione del film, rompendo il patto silenzioso tra pellicola e spettatore. Una scelta molto particolare e davvero coraggiosa che arricchisce ancor di più un film di per sé impressionante e fatto bene.

Per concludere I tre volti della paura è uno dei film più famosi di Mario Bava ma anche uno delle sue opere migliori. Un film che riesce a lasciare lo spettatore a bocca aperta per l’incredibile messa in scena e per come riesce a sfruttare al massimo le poche ambientazioni qui presenti e divertendosi a giocare molto spesso con le luci e le ombre. E’ un film davvero eccellente che, nonostante il budget ristretto, è riuscito a dare il massimo con ciò che aveva. Un film bellissimo e importante, un vero capolavoro da recuperare assolutamente.

Spero che la recensione vi sia piaciuta.
Alla prossima!

[The Butcher]

20 pensieri riguardo “I tre volti della paura

  1. Sono rimasta a bocca aperta dalla tua recensione! Me la sono proprio gustata ed è esaustiva davvero e concordo con tutto quanto hai scritto e sulle considerazioni! Un bel film e una ottima recensione!

    1. Ti ringrazio tantissimo! Mi fa piacere leggere questo commento, questo era uno dei film a cui tenevo di più e volevo dargli il giusto spazio. Sono affezionato a questa pellicola di Bava così come lo sono con La maschera del demonio e Sei donne per l’assassino. Ci sono molti altri film di Bava a cui sono legato e cercherò di portarli tutti sul blog, prima o poi.

  2. L’ho rammentato l’altro giorno con un’amica mia…
    Si parlava di «Fantaghirò» e del suo probabile remake…
    E si diceva che i probabili remake odierni avrebbero sfatto una filosofia della “finzione”, del “finto”, che «Fantaghirò» aveva…
    …e l’aveva perché Lamberto imparò da Mario l’importanza della rappresentazione per “comprendere” la realtà…
    e il finale dei «Tre volti della paura» ne è l’emblema!

    1. Un pensiero davvero molto interessante con cui mi trovi molto d’accordo. Lamberto poi ha imparato molto bene da suo padre anche se pure lui ha fatto dei lavori dimenticabili.
      Il finale de I tre volti della paura rimane qualcosa di geniale.

  3. […] articolo abbiamo discusso di una pellicola che adoro di un regista che ho sempre stimato ossia I tre volti della paura del maestro Mario Bava. Ormai sapete benissimo quanto io adori Mario Bava come regista e ne I tre […]

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