So bene che è da un po’ di tempo che non pubblichiamo più niente ma in quest’ultimo periodo siamo stati piuttosto indaffarati specilamente per quanto riguarda l’ambito universitario. Probabilmente saremo poco attivi questo mese ma faremo del nostro meglio per pubblicare qualche articolo.
In questo caso vi porto la recensione di un film che attendevo da molto e che ho recuperato solo recentemente (purtroppo nel mio cinema l’hanno tenuto per poco tempo).
Vi presento La stanza delle meraviglie, un film del 2017 diretto da Todd Haynes.
Trama:
Il film ruota intorno a due bambini, Rose e Ben. Entrambi sono sordi, la prima dalla nascita mentre il secondo lo è diventato a causa di un incidente, ed entrambi intraprendono un viaggio per conto proprio verso New York con lo scopo di cercare una persona a loro cara. Le loro storie però si svolgono in tempi differenti: Rose compie il viaggio nel 1927 mentre Ben nel 1977. Nonostante ciò i due sembrano collegati tra di loro così come lo è la loro avventura.
Attendevo questa pellicola per due motivi: il primo è che è tratto da un libro di Brian Selznick, autore di Hugo Cabret (la trasposizione cinematografica fatta da Martin Scorsese rimarrà sempre nel mio cuore); il secondo invece riguarda il regista, Todd Haynes, che ho scoperto un po’ di tempo fa con Carol, un film stupendo che consiglio a tutti di vedere.
Quindi, incuriosito da questi fattori, ho deciso di recuperare il film e posso dire senza mezzi termini di averlo amato.
Iniziamo parlando delle due epoche differenti. Il regista riesce a parlare bene delle avventure dei due ragazzini saltando continuamente da un tempo all’altro senza stacchi improvvisi e prendendosi i suoi tempi. Quello che però colpisce di più è il modo con cui ci mostra questi anni; infatti il 1927 il regista lo dirige in bianco e nero e muto. In questa parte mi concentrerò un pochino di più sul 1927 perché tecnicamente è realizzata benissimo. Hayanes non solo lo fa sembrare come un film degli anni ’20 ma lo dirige come se fosse di quel periodo.
Rimane di sicuro impresso il sonoro, molto importante per capire l’evoluzione degli eventi e descrivere lo stato d’animo dei personaggi. Oltre ciò gli attori utilizzeranno delle espressioni facciali un po’ esagerate per far capire ancor meglio cosa provano in quel momento.
Come detto in precedenza, questa parte del film sarà completamente muta e non saranno presenti didascalie ma in certi frangenti le persone scriveranno su fogli di carta delle brevi frasi per poter interagire con Rose e ci aiuteranno a capir meglio le relazioni con alcuni di essi. Il tutto è molto comprensibile e saranno le immagini a spiegarci la storia senza creare alcun problema.
La parte inerente al 1977 è quella che occupa più spazio nel film. Qui, nonostante Ben sia diventato sordo, saranno presenti dei dialoghi e ci verrà mostrata un’ottima riproduzione della New York anni’70, con la sua moda eccentrica e con la sua bellissima musica. Anche qui il regista decide di dirigere come negli anni ’70, utilizzando zoom, sfocamenti e transizioni tipiche di quei tempi.
Un film quindi diretto con maestria e intelligenza ma quello che mi ha veramente colpito è il lato emotivo de La stanza delle meraviglie.
Rose e Ben iniziano un viaggio alla ricerca di persone a loro care. Il motivo per cui iniziano quest’avventura è perché si sentono esclusi e incompresi nel luogo in cui si trovano e dalle persone che li circondano. Mi è rimasta impressa la frase che Rose scrive su un foglio: “Where Do I Belong” che racchiude perfettamente quello che ho scritto in precedenza. Senza rendersene conto i due hanno intrapreso un viaggio che in un primo luogo li aiuterà a trovare loro stessi, a crescere e a fare incontri inaspettati.
So bene che il viaggio è uno dei temi più antichi e anche uno dei più utilizzati del mondo ma, quando viene narrato e mostrato in questo modo, non posso far altro che emozionarmi e applaudire.
Qualcuno potrebbe dire che mi sono lasciato trasportare ma le parole che ho scritto sono state fatte nel modo più oggettivo possibile. E’ un film stupendo di cui consiglio la visione e soprattutto consiglio di recuperare anche le opere precedenti di Haynes che, come regista, ci ha regalato delle vere e proprie perle.
Alcune piccole note di apprezzamento del film vanno alla realizzazione della Wonderstruck, la Stanza delle meraviglie, che io adoro visto che studio i Beni Culturali e che qui è stata resa come se fosse veramente una stanza dei sogni.
L’altra nota positiva va a una sequenza realizzata totalmente con dei modellini in modo originale.
Infine i complimenti vanno anche all’interpretazione degli attori tra cui una bravissima Julianne Moore, ma soprattutto ai due ragazzini, Oakes Fegley e Millicent Simmonds, quest’ultima un’attrice realmente sordo-muta e che in molti avranno riconosciuto per l’ottimo A Quiet Place.
Vi ringrazio per l’attenzione e spero che vi godiate questa piccola perla.
[The Butcher]
Dopo questa recensione che ha messo addosso la scimmia di vedere questo film, reclamo che tu riprenda al più presto questo sporco lavoro di blogger che qualcuno pure dovrà svolgere. E tu lo svolgi dannatamente bene.
Grazie mille! Facciamo del nostro meglio e speriamo di riprendere le pubblicazioni a un ritmo decente. Grazie ancora per il tuo splendido commento.
Dobbiamo riprendere e lo faremo con stile ;)
Questa volta mi ha colto davvero imreparato e per questo il tuo bell’articolo mi ha mosso ancor più curiosità del solito: non ho mai letto il libro e nemmeno visto il film di Todd Haynes, ma cosa ancor più grave non me ne ero nemmeno mai interessato…
Un libro che probabilmente avrei colpevolemnte trascurato anche in futuro per ragiomni perosnali di tempo e scelte, ma soprattutto una pellicola che avrei senza il tuo pezzo lasciato in un angolo del cervello, in attesa di un ripescaggio quasi casuale durante uno dei passaggi televisivi che di certo sarebbero capitati, ma ora tutto è cambiato e di certo, grazie a te, lo recupererò senza dubbio alcuno!
Se, però, non sono stupito del mio aver snobbato (sbagliando, ora lo so) il film di Todd Haynes (regista che non è nel mio radar per alcuna delle sue opere precedenti), sono altresì rimasto sbalordito per la grave lacuna di aver trascurato la lettura del romanzo di quel Brian Selznick che come tu ben sai ho amato proprio per il suo The Invention of Hugo Cabret da te citato nel post!
Una delle cose belle del web è proprio questo possibile interscambio culturale, che permette a tutti di raggiungere delle consocenza che altrimenti avrebbe perso, come è accaduto oggi grazie alla pubblicazione del tuo pezzo…
P.S. nelle settimane scorse sono stato abbastanza preso dal Festival bolognese Cromocosmi, rasssegna di esibizioni artistiche di genere, all’interno dell’iniziativa culturale Gender Bender, in cui il cinema ha avuto un ruolo scoppiettante, con un vero universo multicolore di esplorazioni etniche e sessuali… Con la vostra cultura e preprazione, tu e Shiki sareste stati perfettamente a vostro agio ad ogni proiezione! Chissà che la vita in futuro non ci presentri l’occasione di collaborare in futuro… Sarebbe splendido!
Un abbraccio a tutti e due.
Continuo a dire che abitare a Bologna sia davvero una cosa bellissima. Sempre piena di cultura e di persone interessanti. Comunque sono curioso di sapere il tuo parere su Haynes. Non so se ho ben capito ma forse alcune delle sue opere non ti ha convinto? Oppure ho frainteso?
Non sei tu ad aver frainteso, ma io ad essermi espresso in un brutto italiano: ciò che intendevo dire con la mia frase su Todd Haynes è che nessuna delle sue opere sia come regista che come sceneggiatore mi ha mai conquistato del tutto e questo non perché non sia un bravo cineasta (basterebbero da sole le pellicole di Velvet Goldmine e del bellissimo Carol ha determinarne la bravura), ma perché io e la sua arte non siamo mai davvero entrati in sintonia… Solo una questione di stile, ma do ugualmente il mio massimo rispetto a lui come autore.
Su Bologna, devo ammettere che malgrado abbia tutti i difetti della cittadina di provincia borghese e benestante (non è una leggenda la quantità indescrivibile di esercizi commerciali dediti al cibo, sia come produzione che come consumo!), essendo però anche sede della più antica università del mondo, ha sviluppato un sentimento laico ed antagonista all’interno del suo tessuto sociale che me ne fece innamorare quando scappai letteralmente dal mio paese natale appena finito il Liceo Classico a Jesi: è così che è accaduto che Circolo ArciGay come quello del Cassero sia diventato rapidamente da anni anche uno dei ritrovi culturali più frequentati dagli artisti e dagli intellettuali di tutti i tipi, sia quelli vecchio stampo, sia quelli più impegnati nella lotta per i diritti della comunità LGBT e se giri la sera ti ritrovi tranquillamente i componenti di un gruppo musicale andato a San Remo, come gli Stato Sociale, a lanciare slogan contro il comune a fianco di grossi artisti Marvel Italia, mentre la polizia cerca di liberare un centro sociale costruito dentro l’ex-mercato comunale cittadino e vecchi bolognesi in bicicletta che danno man forte ai manifestanti… Insomma una città a due velocità dove la vita è cara e non semplice (la stessa Coop vende gli stessi proodtti ad un prezzo più alto a Bologna in confronto che a Ferrara o Ravenna), ma dove di contro chi vuole cantare, fare spettacolo o disegnare non ha le ali tarpate ma ha ha anzi un sacco di occasioni e soprattutto dove la cultura è ancora considerata un valore: tu e Shiki saresti perfetti.
I suoi difetti e i suoi pregi non fanno altro che aumentare la mia stima per questa città che fin da piccolo mi ha affascinato. Dovrei andarci più spesso. Grazie mille per il commento e per la tua spiegazione.
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