Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Nello scorso articolo siamo tornati a parlare di horror e per la precisione di un horror tratto da un racconto di Stephen King e diretto da un regista che ho sempre apprezzato, Tobe Hooper. Il film in questione è The Mangler – La macchina infernale. La lavanderia industriale del signor Gartley è un luogo tremendo dove i lavoratori sono costretti a lavorare in condizioni pietose vicino a un enorme mangano tra cui anche la nipote di Gartley, Sherry. Un giorno, mentre la ragazza tenta di girare una leva, si taglia la mano per sbaglio e il sangue finisce sul mangano. Dopo quell’evento inizieranno ad accadere tragici eventi tra cui la morte di una donna che viene stritolata dalla macchina. Il detective John Huston inizia a indagare ma il caso viene chiuso subito e considerato un semplice incidente, ma altri eventi inquietanti accadono con protagonista il mangano. Il cognato di John allora suggerisce che la macchina è posseduta dal demonio e alla fine si rivela proprio così. Il racconto di Stephen King non era mai riuscito a piacermi e da molti viene considerato uno dei peggiori che lui abbia mai scritto, eppure questo film si dimostra dignitoso, aggiungendo parti di storia interessanti come Gartley e la critica sociale ma soprattutto convince grazie alla regia che sa creare una forte estetica, delle scene girate bene, a costruire delle ottime atmosfere e certe interazioni non sono niente male. Verso la fine perde dei colpi ma rimane un buon film che consiglio.
Inoltre vi invito a recuperare la recensione scritta da Fran sul libro Nessundove, un’opera interessante, scritta dal grande Neil Gaiman!
Questa volta non continuiamo nel mondo del cinema ma ci spostiamo in quello della letteratura e lo facciamo con un libro a cui sono sempre stato molto legato, un libro che ha fatto la storia e che riesce ancora a sorprendermi e in certi punti a commuovermi.
Ecco a voi Frankenstein o il moderno Prometeo (Frankenstein; or, the Modern Prometheus), romanzo horror, gotico, fantascientifico del 1818 scritto da Mary Shelley.

Trama:
La storia è ambientata nel 1700 e si apre con un giovane esploratore di nome Robert Walton che scrive numerose lettere a sua sorella Margaret. Lui si sta dirigendo al polo con una barca al fine di capire perché l’ago magnetico della bussola viene attratto in quella direzione, ma nel suo viaggio la nave rimane intrappolata nel ghiaccio per diversi giorni. Ed è qui che assiste a un evento strano: in lontananza scorge una figura mostruosa, dalle forme umanoide, che viene trainato su una slitta da dei cani e il giorno successivo vede una seconda slitta ma il passeggero che vi è sopra è un uomo che rischia di morire congelato. Robert e il suo equipaggio lo traggono in salvo e scoprono la sua identità: lui è Victor Frankenstein, un giovane scienziato di Ginevra. Ed è qui che Victor racconterà la sua tragica storia, la storia di come la sua vita sia stata sconvolta dalla creatura che egli stesso ha creato.
Lessi questo libro quando ero ancora un ragazzino e da allora non ho mai smesso di apprezzarlo (e di rileggerlo). Avrei sempre voluto farci un articolo a riguardo, soprattutto dopo aver scritto le recensioni dei film di James Whale, Frankenstein e La moglie di Frankenstein, film che seppur differenti dal romanzo riuscivano a parlare in maniera intelligente e molto fedele delle medesime tematiche (e che annovero entrambi tra le mie pellicole preferite in assoluto). Quindi spero vivamente di riuscire a dare giustizia a quest’opera.
Prima di tutto però parliamo brevemente della sua autrice, Mary Shelley, e di come scrisse questo romanzo. Lei era la figlia di William Godwin, filosofo, giornalista e scrittore, di cui rimase molto legata fin da piccola che sua madre, Mary Wollstonecraft, morì poco dopo averla partorita. Suo padre teneva molto all’educazione della figlia e fin da piccola Mary conobbe molte amicizie del padre, scrittori di grande importanza, e certamente ciò aiutò molto ad accrescere la sua cultura. Ed è proprio in una di queste occasioni che incontrò il poeta Percy Bysshe Shelley che in seguito diventerà suo marito. La relazione con Percy non fu semplice e a riguardo ci sono tante storie e ipotesi perfino di tradimento (ma non siamo qui per parlare di questo). Sta di fatto che nell’estate del 1816 Mary e Percy, insieme a Claire Clairmont, sorellastra di Mary, fecero un viaggio a Ginevra per far visita a Lord Byron, anche lui un famoso poeta. Quello fu l’Anno senza estate, un disastro naturale che si pensa sia stato causato dell’eruzione vulcanica del Tambora e le cui ceneri arrivarono negli strati superiori dell’atmosfera, ostacolando così i raggi solari. Essendo il clima molto piovoso e freddo il gruppo fu costretto a rimanere nell’abitazione ed è qui che Lord Byron suggerì una sfida letteraria in cui i suoi ospiti dovevano scrivere una storia di fantasmi per passare il tempo (ispirazione che prese dopo aver letto storie di fantasmi tedesche tradotte in francese nell’antologia Fantasmagoriana). Ed è qui che Mary, a soli 19 anni, scrisse Frakenstein, vincendo la sfida e fu poi Percy a incitarla a continuare a scrivere questa storia. Altra piccola curiosità: si suppone che l’ispirazione per il nome di Frankenstein venne dopo essere passata l’anno precedente vicino al Castello di Frankenstein nella città di Darmstad. Qui si dice anche che l’alchimista Dippel, verso la fine del 1600, fece degli esperimenti sui corpi umani, cosa che potrebbe aver ispirato Mary nella creazione del libro (però, come ho già detto, sono solo supposizioni, ma era carino farvelo sapere).

Riguardo il libro c’è da dire che la sua impostazione è davvero interessante, in quanto inizia come un racconto epistolare con Robert che spedisce queste lettere a sua sorella, descrivendole i suoi sogni e il suo viaggio. L’incontro con Victor avviene casualmente e con il passare del tempo tra i due cresce una forte forma di rispetto e si riesce a creare una comprensione reciproca dato che, per certi elementi, si assomigliano, specialmente perché sono dei sognatori. O almeno Victor lo era. Quest’ ultimo è molto provato non solo a livello fisico ma anche a livello psicologico per motivazioni che non vuole dire. Solo con il tempo arriverà a narrare la sua storia, storia che Robert trascriverà per filo e per segno nelle lettere destinate alla sorella (e che verso la fine Victor stesso correggerà in modo che siano il più possibile simili alla sua esperienza).
Con il racconto si parla brevemente della vita di Victor prima che desse vita alla Creatura. Qui ci viene descritta una famiglia amorosa e degli ottimi rapporti sia con i genitori che con la cugina Elizabeth e l’unica tragedia che li colpirà, e che segnerà molto Victor, sarà la morte della madre, una morte avvenuta poco prima della partenza del nostro protagonista per i suoi studi in Germania di filosofia naturale. Ed è qui che il desiderio di creare la vita, di creare un essere vivente con le sue mani, si rafforza ed è inoltre qui che vengono introdotte alcune delle tematiche del libro, il lutto e la perdita.
Una cosa che ho sempre apprezzato è come viene descritto il desiderio di Victor nel creare la vita, non è un desiderio di uno scienziato pazzo o di un folle ma di una persona curiosa e in buona fede che fa una scoperta sensazionale e vuole portare avanti questo progetto. Non c’è alcuna malizia solo pura ingenuità. Qui certamente la questione si può legare alle discussioni dei tempi in cui fu pubblicato il libro, in cui la scienza aveva fatto scoperte importanti e continuava a farle, portando molti a porsi diverse domande a riguardo soprattutto nei metodi (erano anche i tempi in cui si dissotterravano i cadaveri per poter fare ricerche e pochi anni dopo ci saranno anche gli eventi di Burke e Hare). Ed è qui che molti descrivono la tematica dell’uomo che non deve giocar a fare Dio. Onestamente però ho sempre trovato quest’argomentazione molto superficiale per tantissimi motivi che vedremo tra poco. E uno dei motivi per cui ho sempre trovato ciò abbastanza semplificatorio è la Creatura stessa.
Inizialmente la Creatura sembra un mostro sadico e crudele, un insulto all’umanità stessa che vuole distruggere la vita di Victor. Questo è quello che pensiamo almeno fino a quando la Creatura non va dal suo creatore per parlargli. Questa è sicuramente la parte che sorprende di più perché, oltre a essere un racconto nel racconto, la Creatura ci parla di ciò che gli è successo dopo che Victor lo ha abbandonato (passa diverso tempo da quel momento), ci fa conoscere la sua storia, una storia fatta di sofferenza. Nel suo racconto vediamo l’orrore con cui la gente lo accoglieva, orripilati dal suo aspetto, e la violenza che usavano nei suoi confronti, un essere dal corpo deforme, formato da parti umane molto diverse (come se fosse un puzzle incastrato a forza), ma con la mente di un bambino, confuso perché non si rende conto di chi sia e del mondo che lo circonda. Qui vediamo la sua crescita, la sua intelligenza, le sue capacità di apprendimento ma anche il suo desiderio di essere amato e accettato. Durante buona parte del suo racconto, rimaniamo commossi dalla sua storia, una storia ingiusta in cui questo essere, per via del suo aspetto, viene emarginato e odiato. Eppure la Creatura non è cattiva, vuole solo trovare qualcuno che lo possa apprezzare e che lo possa guidare in questo mondo. Si arriva a fare il tifo per lui e la parte con la famiglia e il vecchio non vedente, una parte centrale del suo racconto, è resa benissimo e riesce a catturare l’attenzione e a dimostrarsi cruciale. Alla fine però tutto l’odio, il disprezzo, la paura e le violenze lo trasformano, portandolo a divenire un essere carico di vendetta verso l’umanità ma soprattutto verso Victor.
Nel leggere la sua storia vediamo come, se si fosse mostra gentilezza nei suoi confronti, se avessero cercato di capirlo o quantomeno di guidarlo, allora lui non sarebbe mai diventato un mostro e si sarebbe evitata questa tragedia. Se vogliamo possiamo intendere questa parte come Dio che abbandona la propria creazione perché disgustato da essa (e ripeto, sono ateo eppure queste tematiche le apprezzo molto soprattutto se vengono trattate con la giusta maturità). Alla fine infatti la Creatura non fa altro che ammirare gli umani, elogiandone la bellezza e la loro nobiltà d’animo, considerandoli quasi perfetti, caratteristiche che nella religione cristiana si tengono a dare a Dio. Inoltre apprezzo l’ispirazione a Paradiso Perduto presente in questa parte che la Shelley ha sempre trattato in maniera davvero azzeccata.
Oltre ciò ci sono altre tematiche centrali in questo romanzo come, appunto, il lutto, la perdita e anche il senso di colpa. Tutte tematiche costantemente presenti, probabilmente legate alle tragedie subite dalla stessa Shelley (in quel periodo aveva perso da poco la figlia e negli anni a venire ne avrebbe persi molti altri purtroppo). E anche il dolore che mostra Victor in tutta questa situazione è qualcosa che riusciamo a percepire bene, così come riusciamo a percepire quello della Creatura. Questo romanzo è molto più profondo di quanto si possa credere e alla fine non si può far altro che provare pietà per entrambi i personaggi di questa tragedia.

Per concludere, Frankenstein è un libro straordinario, scritto in maniera semplice ma che attraverso le sue parole riesce a esprimere alla perfezione le emozioni del nostro protagonista e della sua Creatura. Un’opera che parla di tantissime tematiche, anche molto personali, e le tratta con la giusta sensibilità e maturità. Un libro che continuo ad amare profondamente e che consiglio con tutto il cuore.
Spero che la recensione vi sia piaciuta.
Alla prossima!
[The Butcher]
Grazie per diffondere la tua passione e condividere i tuoi preziosi articoli, adoro questo Romanzo!!!
Ancora grazie.
Grazie a te per il commento! Cerco sempre di fare del mio meglio con queste opere e il romanzo della Shelley meritava una bella recensione. Grazie ancora e buona giornata!