Charlie Says

Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Come da programma, continuiamo a parlare di Mary Harron in questo articolo. Questa però sarà l’ultima recensione che farò di un suo film (almeno per il momento). Con questo ho mantenuto fede al mio obiettivo ossia parlare di molte opere di un determinato regista ma soprattutto ho avuto modo di discutere ampiamente di un’artista che apprezzo davvero tanto. Abbiamo iniziato con il bellissimo American Psycho, un film intelligente, cattivo e curato che ha portato al successo Mary Harron e poi siamo passati a The Moth Diaries, il lavoro “peggiore” della regista ma che in realtà non era così male come era stato criticato da alcuni e mostrava una regia molto curata, delle scene realizzate bene e un’atmosfera gotica interessante. Con questo terzo articolo voglio parlare di un’opera davvero curiosa. Non ho intenzione di parlare dei suoi due bellissimi film Ho sparato a Andy Warhol e La scandalosa vita di Betty Paige, di quelli vorrei parlarne più in là e inserirli in un contesto ben specifico. Quindi ho deciso di parlare del suo ultimo film (per il momento) che è arrivato nelle sale cinematografiche.
Ecco a voi Charlie Says, una pellicola drammatica psicologica del 2018 scritta da Guinevere Turner e diretto da Mary Harron.

Trama:
Il film si apre con alcuni membri della Manson Family che, dopo aver assassinato Leno LaBianca e sua moglie, se ne vanno da quel luogo facendo l’autostop. Passano tre anni da quegli eventi terrificanti e Karlene Faith (Merritt Wever), una ricercatrice e docente universitaria che lavora nel carcere femminile della California, riceve un compito molto particolare: lei dovrà occuparsi delle tre giovani donne della Manson Family che si trovano in quel carcere. Loro tre sono state condannate a morte ma, visto che la pena di morte è stata abolita da poco nello stato della California, le ragazze sono rimaste sole nel braccio della morte. Loro tre non possono essere lasciate lì, ma nessuno le vuole mettere insieme alle altre detenute perché, visto quello che hanno fatto, sono considerate pericolose e potrebbero tentare la fuga. Quindi, visto che Karlene sta portando avanti un progetto di rieducazione delle detenute, hanno chiesto aiuto alla docente. Karlene va a incontrare le tre ragazze: Leslie Van Houten (Hannah Murray), Susan Atkins (Marianne Rendón) e Patricia Krenwinkel (Sosie Bacon). Karlene si ritrova davanti a delle ragazze gentili che l’accolgono bene e mentre parlando la docente si accorge di come, nonostante siano passati tre anni, l’influenza di Charles Manson (Matt Smith) sia ancora tremendamente forte su di loro e come tutte e tre non facciano altro che ripetere i suoi insegnamenti. Ed è da qui che il film inizierà a narrare la storia delle tre ragazze, del loro incontro con Charles, di come siano rimaste colpite da lui e da tutti gli orrendi eventi che prenderanno parte in seguito.

The Moth Diaries è un film che non venne accolto molto bene dalla critica e lo stesso vale per il pubblico. Quel film possiamo effettivamente considerarlo come il peggior lavoro fatto da Mary Harron anche se in realtà, come scritto nella recensione precedente, era un film fatto bene a livello registico che riusciva a catturare perfettamente l’ambientazione gotica e con due personaggi portati avanti in maniera veramente ottima. Quindi un film che alla fine aveva qualcosa da dire nonostante i suoi problemi. Dopo The Moth Diaries, Mary Harron è rimasta inattiva per un pò di tempo per poi sfornare la bellissima serie televisiva L’altra Grace su Netflix, serie tratta dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood. Una serie televisiva che riesce a portare perfettamente sullo schermo la storia di Atwood, con eleganza e cura. Tra l’altro dovrei assolutamente parlare sia del libro che della serie televisiva. E dopo solo tre anni la Harron sforna il suo quinto lungometraggio ossia questo Charlie Says, uscito nel 2018 e arrivato in Italia nel 2019. Il 2019 è stato un anno interessante per il cinema nel nostro Paese e quell’anno da noi sono usciti ben tre film riguardanti la figura di Charles Manson: il primo era il meraviglioso C’era una volta a Hollywood, una delle opere migliori fatte da Tarantino a mio avviso, la seconda era Sharon Tate – Tra incubo e realtà, uscito solo in home video, una delle pellicole più brutte che abbia visto negli ultimi tempi, un insulto al cinema e alla figura di Sharon Tate, un film che merita di essere dimenticato. Infine arriva Charlie Says. E com’è stato? Scopriamolo immediatamente.

C’è una cosa da dire assolutamente su Charles Manson. Sulla sua figura sono stati fatte numerose pellicole e la maggior parte di queste sono abbastanza scadenti e alcune anche imbarazzanti. Hanno veramente tanti difetti e tra questi ce ne è uno molto importante di cui parlerò in seguito e che in realtà si può ritrovare in tante pellicole sui serial killer. Charlie Says invece si differenzia molto da queste pellicole per varie ragioni e una di queste, una ragione veramente interessante che può spingere alcuni a vedere il film, è il modo in cui viene narrata la storia ossia attraverso i punti di vista delle tre ragazze. Questa a mio avviso è un’idea più che buona soprattutto per quanto riguarda il ritmo, dato che ci ritroveremo catapultati dalla prigione ai giorni in cui le tre stavano con Manson. Le transizioni e il modo con cui si passa dal presente al passato e viceversa sono veramente fluide, messe nel punto giusto e non sono in alcun modo forzate.

Quando ci sarà il primo flashback, vedremo l’arrivo di Leslie nella Manson Family, dove lei verrà accolta caldamente da tutti e da Charles stesso che si dimostrerà molto cordiale e simpatico con lei. Da qui ci verrà anche spiegato cosa lui cerca di fare: far morire l’ego delle persone, fare in modo che gli altri non abbiano freni inibitori, che non si vergognino di quel che sono ma che vivano la loro vita con naturalezza, senza essere bloccati da quello che gli ha imposto la società, la scuola e i loro genitori. In questa prima parte Manson dimostra anche come riesce a ottenere la fiducia delle persone, non solo comportandosi in maniera simpatica, ma trovando la debolezze delle persone (come ad esempio un corpo brutto) e da quella debolezza mostrarne la bellezza, facendo in modo che si trovino a loro agio con se stessi e gli altri. La morte dell’ego inoltre dovrebbe permettere a loro di vivere senza problemi, ma non si rendono conto che così facendo diventano succubi di Manson, diventano persone vuote che annullano la loro volontà e non fanno altro che ripetere tutti gli insegnamenti di Charles. E questa è una cosa che Karlene nota subito nelle tre ragazze e così cerca di farle pensare con la loro testa e non con quella di Charles Manson.

Ed è anche qui che notiamo che le contraddizioni in ciò che dice il capo setta. Si nota anche all’inizio ma quelli sono dettagli più piccoli e sottili, ma più si va avanti e più inizierà a contraddirsi, le sue folle teorie diventeranno ancora più folli ed esasperanti, assomigliando sempre di più a un pazzo incontrollato. Nonostante ciò le persone continueranno a seguirlo e a stare accanto a lui. Questo perché ormai sono sotto il suo potere e quindi ogni cosa che dice è legge anche quando quello che enuncia è ridicolo o insensato. Arrivati a quel punto l’influenza di Manson sulla sua family è assoluto e ormai a tutti è stato fatto il lavaggio del cervello. E qui Mary Harron fa una cosa che mi piace tantissimo.

Sapete come a volte in certi titoli che parlano di assassini veri o no si tende sempre a parlare del male in maniera misteriosa e affascinante? Bè, personalmente è una cosa sciocca, sono molto più vicino a quello che Stephen King dice a proposito del male ossia che è stupido e banale. E Mary Harron è della stessa opinione. All’inizio Manson sembra un abile manipolatore, capace di infondere fascino e farsi piacere agli altri ma, arrivando a metà film, la sua persona viene mostrata per quello che è: contradittoria, folle e perfino stupida. Mary Harron fa la stessa cosa che ha fatto con Patrick Bateman in American Psycho, non tenta in alcun modo di rendere affascinante questa figura, anzi la mostra per quello che è, vuota e insulsa, una figura che è stata ingiustamente ingigantita per via degli orrori che ha perpetrato ma che in realtà era solo misera. Infatti se si va a studiare la storia anche di alcuni serial killer come Ted Bundy ed Ed Gein si scoprirà quanto in realtà fossero ridicoli e di come loro siano stati ingigantiti e resi delle leggende. Questo errore l’ho visto fare molte volte in tante pellicole ma fortunatamente in questo fil non accade nulla di simile.

Tra le altre cose mi piace molto la fotografia del film. In prigione si respira un’aria chiusa e i colori sono spenti mentre tutte le scene all’aperto hanno una luce calda e confortevole. Nei flashback la fotografia tende anche a cambiare: all’inizio ha dei toni molto caldi e rassicuranti di giorno, ma più Manson diventerà folle e mostrerà la sua vera natura più anche la luce del giorno diventerà fredda. Di notte invece ci sarà un forte contrasto tra l’oscurità e i colori rosso e arancione che creano un’ottima atmosfera e rende la situazione quasi soffocante.

Dramma psicologico è il modo migliore per definire questa pellicola perché attraverso i ricordi le ragazze hanno modo non solo di narrarci una storia che conosciamo in maniera diversa, ma anche di capire loro stesse cosa hanno fatto realmente e la gravità delle loro azioni. Le parti che si possono definire thriller (ma anche horror per come verranno rappresentate) sono i due efferati omicidi che compiono di cui quello che mi ha impressionato parecchio è l’assassinio di LaBianca, molto più impressionante perfino di quello di Sharon Tate nel modo in cui viene mostrato (anche per motivi di trama).

Per concludere Charlie Says è un dramma psicologico veramente interessante che racconta la storia di Manson e della sua family attraverso un punto di visto inedito e mostra come lui sia riuscito a manipolare tutti coloro che gli si sono avvicinati, ma mostra anche la sua vera faccia, non quella mitizzata, e veniamo messi davanti a un uomo piccolo piccolo che si credeva importante e che alla fine ha portato solo distruzione e dolore. Un film che consiglio.

Spero che la recensione vi sia piaciuta.
Alla prossima!

[The Butcher]

33 pensieri riguardo “Charlie Says

  1. Di solito evito di guardare film che raccontano la storia di spychokiller, proprio perché li fanno apparire come persone con menti superiori.
    Ma questo lo guarderò, grazie per la dritta. :-D

  2. Per la mia ormai cronicizzata attitudine a trascurare gli impegni che non siano di pura necessità, non ho fatto in tempo a suo tempo a commentare il tuo gradevolissimo omaggio ad Hugo, film a cui sono affettivamente molto legato perché ha saputo portato sullo schermo tutto l’amore ed il rispetto per il genio che per primo comprese il potere straordinario di affabulazione che il Cinema ha sempre avuto sin dai suoi albori, con le sue magie, le sue illusioni e la sua capacità di trascendere la realtà, lezione che Scorsese non ha mai dimenticato nei suoi film anche più crudi e realistici (basti pensare a leggendari piani-sequenza come quello di ingresso al Copacabana di Goodfellas) e lo ha fatto in modo speciale in quest’opera grazie anche ad una scenografia di Ferretti davvero meravigliosa…

    Detto questo, come atto dovuto al tuo ottimo pezzo, voglio oggi invece applaudirti per aver reso omaggio e restituito la giusta dignità all’ennesima grande donna del cinema, una cineasta che regolarmente è restata e resta ancora ai bordi dello show business, assolutamente sottovalutata e spesso criticata in modo ingiusto, ma ahimè si è mossa in un mondo ancora molto misogino ed in un tempo in cui lo era maggiormente di ora.

    Come sai, ho un giudizio complessivo assai diverso dal tuo sul film di Tarantino (diretto in modo sontuoso, forse al suo meglio, con un uso delle ottiche da manuale di ripresa, magistralmente interpretato e con anche un decoupage interno alle scene strepitoso, ma purtroppo a mio modesto giudizio con una sceneggiatura brutta, penso non volutamente tale, vista l’importanza che Tarantino normalmente dà al suo storytelling, ma, sempre secondo me, frutto del tentativo di riscrittura fatto all’ultimo momento di un nuovo script dopo che quello originale era stato clandestinamente divulgato sul web rivelando scene importanti ed irritando non poco il maestro Quentin), tuttavia concordo che anche in Once Upon a Time in… Hollywood (per altro scritto e diretto un anno dopo del film della Harron) la figura di Mason appaia molto correttamente più come ispiratore che n0n come esecutore, che poi è il vero messaggio del film che hai appena recensito (Mason ordina, Mason dice, come nel popolare gioco di ordini ed esecuzioni), dove tuttavia a livello narrativo si vola molto più in alto del film glamour-onanistico di Tarantino (per altro assolutamente maschio-centrico, dove l’omaggio alla donna è sempre in chiave di bellezza fisica e non di forza concettuale, con la Tate nei panni dell’angelo sacrificale inerme da salvare ed i due uomini, tabagisti ed alcolizzati, come eroi sprezzanti e muscolosi che salvano il mondo): l’operazione assolutamente femminista (in senso positivo) fatta invece dalla Maron sullo script della bravissima e fidatissima collaboratrice Guinever Turner (sempre sua è la sceneggiatura di quel American Psycho da te recensito da pochissimo), recuperando il libro della scrittrice Karlene Faith (che per prima ha raccontato in modo puntuale la storia delle assassine agli ordini di Mason), mostra (unica nel mondo cinematografico e televisivo) il condizionamento psicologico ed il successivo tentativo di recupero operato proprio dalla stessa Faith.
    Il film è stato accolto male e recensito spesso anche peggio ed io invece ce l’ho nel cuore e lo considero una delle pellicole più importanti della rinascita del cinema declinato al femminile, oltretutto alla base del plot della Seconda Stagione di Mindhunter (senza se e senza ma, una delle produzioni televisive più belle mai scritte e dirette).
    Ti voglio bene, Butcher, per questo tuo non essere mai banale e per avere costantemente uno sguardo obliquo e partecipe sia al cinema mainstream come a quello autorale.

    1. Grazie mille amico mio! È sempre un onore e un piacere leggere i tuoi commenti e le tue opinioni. So molto bene che C’era una volta a Hollywood non ti è piaciuto soprattutto a livello di sceneggiatura e penso che un giorno dovrei farci una recensione e spiegare i lati che mi sono piaciuti anche a livello di scrittura (prima o poi parlerò di tutto il cinema di Tarantino). Tornando al film, io adoro Mary Harron, è una regista davvero brava e capace dietro la macchina da presa che ha portato su schermo storie molto interessanti e veramente femministe. Anche nei lavori meno riusciti come The Moth Diaries riusciva a dare qualcosa allo spettatore. E con questo film riesce a parlare di una storia che purtroppo conosciamo bene attraverso uno sguardo nuovo e originale e si parla del lavaggio del cervello attuato da Manson e soprattutto si sfalda il suo mito (odio quando tendono a rendere affascinanti i serial killer e in questo caso Mindhunter ha fatto un lavoro più che ottimo). So che adesso Mary Harron dovrebbe dirigere un film su Salvador Dalì, se tutto va bene.
      Ti ringrazio infinitamente per il tuo bellissimo commento. Stammi bene amico mio.

  3. Come già ti accennavo in altra sede, sono sempre stata molto impressionata dai crimini orribili commessi da Manson e dai suoi, quindi mai avrei pensato di vedere un film sull’argomento, ma con la tua recensione tu mi hai convinto! Hai ragione, spesso si tende a mostrare gli assassini seriali come in qualche modo fascinosi, ma è una cosa molto disturbante e sul filo della moralità, soprattutto nel caso di persone davvero esistite. Grazie per il tuo bell’articolo!

    1. Grazie a te per il tuo commento. Questo film riesce a mostrare Manson per quello che era ovvero un folle che si credeva un profeta e che ha fatto il lavaggio del cervello a persone che si erano perse. Spero tanto che ti piaccia!

  4. Innanzitutto ti ringrazio: è da qualche anno che pensavo di vedere questo film ma per un motivo o per l’altro ho sempre rimandato, ora credo che lo recupererò.
    Il punto di vista della storia è molto interessante, l’unico libro che ho letto sui casi della Manson Family (fumetto delle edizioni Inkiostro a parte) è stata la biografia di Tex Watson, quello che veniva chiamato il braccio destro di Manson che ha partecipato agli omicidi insieme alle ragazze. Dalla sua biografia viene fuori anche l’uso massivo di droghe come lo speed ed il fatto che la famiglia non avesse soldi per permettersi da mangiare, unisci lo stress fisico alla persuasione ed il gioco è fatto.
    In effetti quando si vanno a trattare serial killer e crimini vari il rischio è sempre quello di farli apparire come delle personalità affascinanti e rassicuranti quando la maggior parte delle volte non è così. Ed Gein sapevano tutti che aveva dei problemi psichiatrici non curati (tant’è che fra i tanti casi famosi è uno dei pochi cui è stata riconosciuta l’infermità mentale), Jeffrey Dahmer riusciva a tenere nascosto ciò che faceva perché tendenzialmente era isolato e, se non hai persone intorno, riduci notevolmente il rischio di far trapelare qualcosa. Dahmer soprattutto viene spesso descritto come questo affascinante e tenebroso maniaco quando gli mancava la dizione di base c’è anche da dire che, come Ridgway, si scegliva delle vittime appartenenti a famiglie povere ed emarginate che spesso hanno pessimi rapporti con la polizia (Ridgway uccideva delle prostitute). Senza contare che all’epoca dei fatti di Milwaukee i pregiudizi della polizia nei confronti degli omosessuali erano talmente forti che questi non volevano averci niente a che fare, se Tracy Edward non fosse corso sbraitando nudo verso una volante probabilmente ci sarebbero state altre vittime.
    L’unico caso in cui un po’ posso perdonare questa visione da “dark prince” è nell’ultimo film su Bundy con protagonista Zac Efron. L’attore con lui non c’entra praticamente niente prò l’intero film è visto sotto le lenti della sua ragazza storica Liz che in effetti lo vedeva come il ragazzo perfetto (almeno fino ad un certo punto).
    Un sacco di volte alche la cronaca patina e pompa i fatti talmente tanto che quando poi vai a documentarti su ciò che è realmente successo ti viene da dire “tutto qui?”

    1. Hai perfettamente ragione! Molti di questi serial killer venivano considerati quasi delle persone intelligenti e macchiavelliche dalla stampa quando invece erano persone con evidenti problemi e sono stati appunto resi qualcosa che non sono dai giornali e a volte anche dal cinema stesso. E invece se ci informiamo un pochino capiamo che erano solamente dei folli e basta. Nulla di più. Grazie mille per il commento e spero che il film ti piaccia!

  5. Ho visto anche io questo film ieri incuriosita da Mary Harron. Si trova su Amazon Prime. Il film ha una colonna sonora molto bella, belle immagini ed è anche, come dire, in qualche modo “intelligente”. In realtà temo che questo film non aggiunga niente di nuovo ad una storia oramai vecchia e che le immagini molto scenografiche del film rendano patinata una storia purtroppo vera. Amo i film in cui ci sono assassini e violenza ma il fatto che questa storia sia vera, e che si continui a distanza di tanti anni a fare del cinema su di essa, mi turba un minimo. Non è il caso di C’era una volta a Hollywood, in cui si dava una punizione agli assassini, riscrivendo la storia così come accadeva anche in Bastardi senza gloria, e dove l’episodio era inserito all’interno di un contesto molto appassionante.

    Trovo dei controsensi in questo film: ad esempio l’utilizzo di un attore molto apprezzato e che riscuote successo nel pubblico femminile ma anche ad esempio, il fatto che le ragazze, pur scavando nell’immondizia, fossero sempre graziose e carine. Si subisce il fascino della comunità hippy, per poi finire nel solito messaggio psicologico-morale nel finale, creando uno scollamento: mi state intrattenendo o volete darmi un messaggio? Ed è davvero nuovo? Io non credo.

    Mary Harron comunque si conferma una brava regista, non è che voglia bocciare del tutto questo film, anzi, ma… Vivevo anche senza vederlo.

    1. Nel mondo del cinema hanno fatto svariate volte film su serial killer realmente esistenti e in molti casi hanno sbagliato cercando di rendere questi individui affascinanti e intelligenti. Qui a mio avviso la Harron ha fatto un ottimo lavoro nel rappresentare Manson perché inizialmente lo mostra come una persona affascinante, come qualcuno che conosce l’animo umano e sa come sedurlo e poi mostra invece la sua vera natura, la sua follia, il suo egocentrismo e il suo narcisismo perverso. E il fatto che abbiano scelto quell’attore per interpretare Manson è stata una scelta interessante. Ovviamente ti spiazza vedere il Dottore fare un ruolo simile ma credo che volesse essere un effetto voluto. Come se non ti aspettassi che una persona simile fosse capace di fare cose del genere. Anche il modo di rappresentare le seguaci di Manson, che come hai detto tu dovevano cercare il cibo nella spazzatura ma era sempre sorridenti, per me è fatto bene. Sono convinte dalle parole di quell’uomo, si fidano ciecamente di lui e accettano quella vita come liberatoria. Il fatto che siano graziose non mi dà fastidio, anche vedendo le foto sembravano tutte molto graziose e anche innocenti. Hai assolutamente ragione nel dire che hanno parlato per l’ennesima volta di qualcosa che conosciamo veramente bene, però io l’ho apprezzato appunto per il modo in cui è stato narrato ossia dal punto di vista delle tre ragazze e di come loro siano state succubi di lui. È un film che ha i suoi difetti e può non piacere per certe scelte, ma nel complesso lo considero un ottimo lavoro e, dopo aver visto certi scempi che hanno creato su questa storia, posso dire che è anche uno dei migliori nel narrare quegli eventi.

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