Bene, bene, mi fa molto piacere tornare a parlare di pellicole orientali e, ancora una volta, con un film proveniente dal Giappone. Più vado avanti con la visione di queste opere e più mi accorgo di quanto il cinema orientale riesca a sfornare prodotti con una certa forza sia visiva sia emotiva, a mio avviso molto più forte di tante opere occidentali. E questa è una cosa da cui dovremo prendere esempio.
Prima o poi parlerò anche di film orientali che non vengono dal Sol Levante, ma, per il momento, vorrei discutere di un’opera che mi ha molto sorpreso.
Sto parlando di Confessions (告白 Kokuhaku), pellicola del 2010, diretta da Tetsuya Nakashima e basata sull’omonima opera di Kanae Minato.
Trama:
Durante una normale giornata di scuola, l’insegnante delle medie Yuko Noriguchi (Takako Matsu) annuncia alla sua classe che si ritirerà dall’insegnamento. Però prima racconta della tragica morte di sua figlia, Manami, che la polizia ha archiviato come un incidente. Yuko però sa che sua figlia non è morta in un incidente ma è stata assassinata e i colpevoli si trovano proprio nella sua classe. Lei li chiama “studente A” e “studente B” e afferma di aver infettato il latte che hanno bevuto con del sangue infetto dal virus dell’HIV. Questa è la sua vendetta nei confronti dei due assassini e da questo evento parte l’intera storia e verremo catapultati nel mondi dei personaggi toccati da questo evento.
Partiamo subito col dire che io non ho letto il libro da cui è tratto il film ma, appena riesco a trovarlo, ho intenzione di dargli una bella letta.
Inoltre questo è il primo film che vedo del regista Nakashima. Interessante come abbia iniziato la sua carriera come regista di spot pubblicitari per la TV fino a quando nel 1997 realizza il suo primo lungometraggio, Happy-Go-Lucky, ma è nel 2004 che riesce ad ottenere il successo sia di critica sia di pubblico grazie a Kamikaze Girls (pellicola che devo assolutamente recuperare anche perché, leggendo la trama, mi aveva sinceramente colpito). Con Confessions ottiene un maggior successo a livello internazionale (questa pellicola era stata anche presa in considerazione per l’Oscar come miglior film straniero anche se alla fine non è riuscito ad entrare nella cinquina finale).
Fin da subito Confessions mi ha stupito per due motivi: l’uso massiccio del rallenty e il montaggio.
Io non sono un grande fan del rallenty, a mio avviso sono veramente pochi i registi che oggi sanno utilizzare questa tecnica senza rendere pesante la visione di una scena o sequenza. All’inizio infatti ero preoccupato per questa cosa ma, mentre procedevo con la visione, notavo che il film scorreva molto bene e senza essere pesante. E grazie all’uso del rallenty Nakashima è riuscito a creare immagini molto belle e cariche di significato. Posso dire che questo è uno dei pochi esempi in cui questa tecnica è utilizzata veramente bene e con una certa cura e molti di quei registi che vogliono utilizzarla dovrebbero prendere esempio da Confessions.
L’altro fattore del film che mi ha colpito è il montaggio e anche la narrazione. Il film è diviso in “Confessioni” ovvero punti di vista dei vari protagonisti. Per esempio il prologo è intitolato “Confessione” – Yuko Noriguchi, dove appunto la protagonista principale è l’insegnante. Nelle varie confessioni avremo modo di conoscere i personaggi ed è qui che verranno approfonditi parecchio. Andando avanti con la storia avremo anche modo di assistere a un ottimo utilizzo dei flashback che non fermeranno per nulla la narrazione ma, anzi, l’aiuteranno a proseguire. Apprezzo soprattutto il modo con cui questi flashback vengono inseriti nel racconto, in maniera fluida e naturale, senza l’utilizzo di trucchi per farci capire che quello che vediamo sono eventi precedenti (come ad esempio filtri ecc…).
Un’altra cosa che ho molto apprezzato è la fotografia. Principalmente a farla da padrone è un colore grigiastro che ben si associa alla situazione a cui assistiamo. Sono molto pochi i momenti in cui ci sono colori più accesi e perlopiù ciò accade con i momenti felici o nostalgici. Interessante invece come è stata utilizzata la fotografia di notte, con lo sfondo quasi completamente oscurato e i personaggi al centro di questa oscurità.
Sul lato tecnico non ho altro da aggiungere, tutti i vari settori sono molto curati e ben realizzati, quindi adesso parliamo di altri punti di forza di Confessions: i personaggi e gli attori.
Tutti i vari personaggi sono scritti benissimo e questo vale anche per i personaggi secondari, realistici e molto credibili.
Dei numerosi protagonisti dell’opera ci sarebbe molto da dire ma posso iniziare con il dire che hanno numerose sfaccettature (cosa che adoro nella costruzione di un personaggio) e che, soprattutto, sono tutti perlopiù negativi.
Tutti loro sono mossi da varie motivazioni: la vendetta, farsi notare da qualcuno, dimostrare di valere qualcosa ecc…, desideri molto forti che però porteranno a varie tragedie e avranno come vittime persone che non c’entrano niente o che sono positivi. Infatti i pochi personaggi positivi presenti, tipo Manami (ho scoperto ora che l’attrice, Mana Ashida, era la piccola Mako Mori di Pacific Rim) o il nuovo insegnante della classe, verranno distrutti dai protagonisti.
Sono caratterizzati benissimo Shuya e Naoki, studente A e B, così diversi tra di loro. Intelligente, sicuro di se e senza limiti morali il primo mentre insicuro, emotivo e impulsivo il secondo. Entrambi sono personaggi complessi ma alla fine ci si concentrerà molto di più su Shuya che, insieme a Yuko, sarà il protagonista costruito meglio di tutti. I motivi che hanno spinto Shuya a commettere un’azione così orrenda saranno spiegati molto bene e daranno a costrui una complessità maggiore. Ci sono tanti personaggi su cui bisognerebbe parlare ma non voglio discuterne troppo perché dovete scoprirli voi.
Gli attori, tutti gli attori sono straordinari soprattutto i giovani. In particolare Kaoru Fujiwara (Naoki), Ai Hashimoto (Mitsuki) e soprattutto Yukito Nishii (Shuya) ruberanno la scena riuscendo a portare in scena dei personaggi complessi e maturi per attori così piccoli.
Da applausi anche la prova attoriale di Takako Matsu (Yuko) che riesce a esprimere un turbinio di emozioni riuscendo a mantenere una certa compostezza e un apparente distacco (il prologo in cui lei parla è molto lungo ma potrei ascoltarla parlare per ore per quanto è brava).
Questo è Confessions. Un film che parla di vendetta, una vendetta che, a seconda di come vada, non porterà a nulla di buono e non farà altro che diffondere altro odio e a ferirealtre persone. Un film non proprio leggero ma di cui consiglio vivamente la visione.
Spero che la recensione vi sia piaciuta!
Alla prossima!
[The Butcher]
«Un film che parla di vendetta che non porterà a nulla di buono e non farà altro che diffondere altro odio» Così hai concluso la tua come al solito felicissima recensione ed è assolutamente vero, anche se alla fine dei conti è proprio il tema della vendetta ad essere a mio modesto giudizio la parte meno memorabile di questa pellicola che io a suo tempo, nel lontano 2013, quando andai a vederla in sala (l’avevo persa al Far East Film Festival), anche sfidando una serie di pregiudizi dei miei colleghi (che la volevano dipingere come frutto di eccessiva retorica visiva ed autocompiacimento estetizzante ), l’amai follemente per l’intensità emotiva che veicolava e per lo stile di regia e di narrazione, non solo straordinariamente ben fatto, ma anche così innovativo per lo specifico mondo del cinema giapponese, specie se si considera il pregiatissimo settore horror e thriller.
Un film che si apre con un lunghissimo monologo dell’insegnante da cui poi si dipana il racconto ed il sadismo dell’esecuzione del piano elaborato: la condanna dell’obsoleto sistema giudiziario giapponese (incapace di emettere reali condanne ai minori di 14 anni) fa da sfondo quasi giustificatorio dell’impianto violento della vendetta, ma è solo superficiale perché a differenza dei tanti film nordamericani (sodali con i vendicatori e giustizieri privati), qui il film di Nakashima diventa la visualizzazione di una maestosa orchestrazione maniacale, dove la cifra fotografica (da te giustamente esaltata e che gioca su una palette oscura e pesante, nonché sulla desaturazione dei colori, opposta al rosa stracarico del precedente Kamikaze Girls), viaggia in parallelo con un montaggio strepitoso (ancora una volta da te sottolineato), che dona un ritmo incalzante, anche nel mostrare una realtà che va oltre quella annunciata nel primo tempo, superando la cronaca (qui sta il guizzo) in cui si prende letteralmente a cazzotti lo spettatore e sconfinando nelle visioni oniriche.
Ti potrò sembrare esagerato, amico, ma per me Confessions è un film essenziale, da avere in casa e da riguardare ogni tanto per sciacquarsi gli occhi dai cliché occidentali
Grazie come sempre per esserci, Butcher.
Anch’io adoro Confessions. Mi ha sorpreso in tutti i sensi , sia a livello tecnico sia emotivo. Sono rimasto a bocca aperta nello scoprire quella legge sui minori. Certe leggi giapponesi mi hanno lasciato basito soprattutto certi modi di comportarsi in certe situazioni come sono state mostrate su Shin Godzilla (film meraviglioso a mio avviso e uno dei migliori film di Godzilla di sempre).
Di certo Confessions è riuscito ad arrivare al punto e soprattutto a colpire il pubblico. È stata una bella scoperta.
Molto bello il riferimento al film di Anno, che effettivamente, oltre ad essere un grande film, può risultare stupefacente per alcuni aspetti quasi incomprensibili del sistema legale nipponico…
Mi viene la pelle d’oca a leggerti, perché proprio l’altra sera abbiamo organizzato in cineteca una proiezione di film di Anno, ma solo animati ed un unico live action con Cutey Honey…
In realtà eri in sala e non lo sapevo!
Coincidenze…oppure no? Scherzi a parte complimenti per la serata
Ah, mi è partita la risposta. Comunque non ho mai visto Cutey Honey, solo sentito parlare. Dovrei recuperare pure quello.
Ah, magari! Così almeno saremmo in tre ad averlo apprezzato: tranne me ed il coordinatore della cineteca, che applaudivamo come due scemi, la reazione del pubblico è stata simile a quella che abbiamo avuto alla proiezione del film di Takeshi Miike Yattâman… Sob!
Ma no! Probabilmente anch’io sono uno dei pochi che ha apprezzato quel live action. Eppure è un film molto divertente e con un’ironia stupenda.
Ma infatti! Spesso è davvero una questione di aspettative…
Visto tanti anni fa in una sorta di festa dedicata al Giappone sull’isola Tiberina a Roma. Impegnativo, non leggero, ma molto apprezzato. Spiace che lo conoscano in pochi.
Purtroppo è sempre così per i film che provengono dall’oriente. In Italia non solo hanno poco seguito ma molte volte o escono solo in home video oppure non escono per niente. Son contento per Parasite che almeno è uscito in sala e sta avendo un discreto successo.