Si ritorna in Giappone e soprattutto si torna a parlare di Takashi Shimizu. Il regista ormai è conosciuto per aver creato e diretto i film di Ju-On. I migliori film di Ju-On (se escludiamo quelli americani, lì non so quanta libertà creativa abbia avuto). Ovviamente ha fatto tante altre pellicole, specialmente di genere horror, molto interessanti e altri che però non sono stati tanto apprezzati. Quello di cui parleremo oggi è probabilmente uno dei suoi lavori più particolari (anche se non come Marebito) e anche uno dei più criticati.
Il film in questione è The Shock Labyrinth, horror del 2009 girato in 3D.
Trama:
Ken torna dopo molti anni nel suo villaggio natale e incontra i suoi amici d’infanzia, Rin e Motoko. Purtroppo la loro riunione è costretta a interrompersi quando appare Yuki, una loro amica scomparsa dieci anni fa. I tre protagonisti insieme a Miyu, la sorella minore di Yuki, cercano di fare chiarezza su questa situazione ma Yuki fugge dentro un ospedale. I quattro la inseguono ma così facendo rimangono intrappolati dentro un vero e proprio incubo.
Questo film lo vidi quasi dieci anni fa quando ero ancora un quattordicienne e non mi piacque tanto. Ammetto che, ripensandoci, certi momenti mi spaventarono, ma una cosa che mi lasciò confuso e che non capii era la narrazione. Su questo punto ci torneremo più in là.
Era il periodo in cui avevo iniziato a interessarmi di cinema e stavo provando a vedere molti generi diversi per capire meglio la settima arte. Avevo quattordici anni ed ero abbastanza ignorante sulla questione, quindi non avevo un grande metro di giudizio.
Anni dopo mi sono ricordato di The Shock Labyrinth e decisi di rivederlo. E quella volta mi piacque molto. Così qualche tempo fa l’ho guardato un’altra volta insieme a Shiki e per me si è riconfermato come un ottimo film.
Per questo motivo ho deciso di parlare della pellicola, per spiegare i motivi per cui lo rivalutato e soprattutto perché quando ero piccolo lo giudicai male.
Intanto bisogna cominciare sottolineando come Shimizu abbia diretto il film in maniera differente rispetto al solito. Se avete visto alcuni dei suoi lavori come Ju-On o Reincarnation (o Rinne) avrete sicuramente notato come utilizzi una regia lenta e precisa, senza troppi movimenti di macchina esagerati. Qui invece p un po’ diverso, ci sono movimenti più accentuati (forse dovuto anche al fatto che il film è stato realizzato in 3D), il ritmo è più veloce e crea inquadrature molto particolari.
Ciò che cambia di più rispetto ai suoi film è la fotografia. Qui Shimizu ha deciso di accentuare molto alcuni colori come il rosso, il verde e il blu. Praticamente i colori esplodono in tutta la loro potenza e una scena che mi piace parecchio, proprio per questo utilizzo dei colori, la troviamo all’inizio (e in altri punti della storia) dove i protagonisti da piccoli entrano nella casa degli orrori e camminano per un lungo corridoio con un tappeto rosso altrettanto lungo quasi come se, percorrendolo, i ragazzini stessero segnando il loro triste destino.
E’ una fotografia molto suggestiva, molto espressionista e, come sapete, adoro parecchio questo tipo di fotografia (ovviamente se utilizzata bene).
Parlando di fotografia espressionista durante la visione , la luce e i colori mi facevano venire in mente qualcosa ma non sapevo bene a cosa. Quando poi si arriva in una stanza piena di manichini orrorifici, ho capito cosa mi ricordava: Sei donne per l’assassino di Mario Bava (e ancora non riesco a credere di essere stato così negligente da non averne ancora parlato!). Non faccio similitudini con le due pellicole, ho preso in considerazione quella perla di Bava per far capire meglio il tipo di fotografia.
Ora però passiamo alla parte più criticata del film e che non convinse il me quattordicienne: la narrazione.
Quando Ken e i suoi amici entrano nell’ospedale , che subito dopo si trasforma nella casa degli orrori, inizieranno a rivivere il ricordo del giorno in cui scomparve Yuki. Soltanto che non solo vedono i loro stessi da piccoli ma riescono anche a interagirci. Praticamente il passato che collide con il presente. Il tutto non avviene linearmente ma ci verranno mostrati i ricordi dai punti di vista dei protagonisti.
Non saranno presenti solo flashback ma anche flashforward che ci faranno fare molte domande tra cui quella più importante di tutte: qual’è la verità?
Da piccolo ho avuto molta difficoltà a capire la trama e per questo motivo non mi piacque ma, riguardandolo adesso, non ho avuto molte difficoltà a seguire il susseguirsi degli eventi anche perché sono collegati tutti molto bene e in certi punti Shimizu si diverte pure a mettere dei dettagli che in seguito assumeranno un significato o avranno una spiegazione attraverso la macchina da presa.
Non dovete farvi spaventare dalla storia perché è molto semplice e soprattutto un classico del genere j-horror: spiriti che cercano la loro vendetta. E la narrazione è messa in questo modo perché lo spirito in questione , Yuki, sta giocando con le menti dei protagonisti e li sta torturando per quello che è successo anni fa. E’ da qui che viene il titolo del film perché Ken e gli altri sono intrappolati in questo labirinto mentale dove, ad ogni angolo che svoltano, rivivono e interagiscono con gli eventi del passato.
Alcuni momenti che non mi sono piaciuti riguardano delle scene fatte appositamente per il 3D. Avatar di Cameron fece un successo incredibile in quel periodo riportando in auge quella tecnologia e molte case di produzione si cimentarono con questa tecnica ma in pochi la utilizzarono bene. Con The Shock Labyrinth si fece la stessa cosa (anche se, leggendo notizie in giro, ho scoperto che The Shock Labyrinth è uscito in Giappone due mesi prima di Avatar).
Non so con certezza come fosse il 3D del film ma le scene in cui oggetti e persone ti vengono incontro sono fatte bene e fanno il loro effetto anche viste normalmente. Purtroppo non funziona con tutto. Ad esempio in alcuni punti viene utilizzata una pioggia fatta in digitale, creata apposta per l’effetto tridimensionale. Forse in 3D dava un’impressione diversa ma durante una visione normale è davvero brutta.
The Shock Labyrinth è un horror fatto bene con una fotografia molto bella e alcuni momenti inquietanti. La storia è molto semplice ma la narrazione è impostata in maniera tale da riuscire a incuriosire. Forse alcuni non apprezzeranno quest’idea di narrativa ma personalmente l’ho trovata ben fatta.
Piccola informazione prima di chiudere la recensione. Il film si chiama The Shock Labyrinth ma in italiano è uscito con il titolo di The Shock Labyrinth: Extreme 3D. Non potete neanche immaginare quanto imbarazzo mi da leggere quel Extreme. Per questo gli ho dato il titolo originale.
Spero che la recensione vi sia piaciuta. Alla prossima!
[The Butcher]
I titoli italiani dei film stranieri sono molto spesso imbarazzanti, purtroppo! Ma anche se siamo già nel 2019 pare che ancora non possiamo abbandonare la barbara usanza di tradurre e doppiare i film perché si ritiene la popolazione troppo stupida o pigra per leggere i sottotitoli!
Per la questione del doppiaggio si può discutere perchè quella è una forma di lavoro molto interessante che va a modific io contenuto originale e gli da una nuova valenza che può essere grandioso (Pulp fiction, Frankenstein Junior) quanto terrificante se adattato male (guarda che hanno fatto con il nuovo adattamento di Evangelion). Invece per quanto riguarda i titoli siamo veramente pessimi. Proprio non riusciamo a dare giustizia al titolo di un film (visto che ne hai parlato recentemente posso citare Shaun of the Dead).
Okay, diciamo che se non l’avessi scritta tu, Butcher, non avrei probabilmente nemmeno letto la recensione: certo, un film di Shimuzu, anche quando è minore (una storia di fantasmi sempre in bilico tra un’avventura ed un horror senza sangue), resta comunque un film interessante, ma non ho un ricordo potente della mia visione della pellicola, che anzi a suo tempo la classificai nei miei appunti come una concessione eccessiva al gusto generalista del pubblico, tanto che la ricostruzione scenografica dell’ospedale dove si svolge l’azione mi ricordò molto di più un’attrazione da parco giochi che non lo sfondo di un horror psicologico…
Tuttavia il tuo pezzo, come al solito pregevolissimo, contiene una squisita analisi semiologica, che sarebbe piaciuto tanto al mio vecchio professore di storia del cinema, in particolare quando parli della fotografia e crei un parallelismo assolutamente brillante con il cult di Mario Bava!
Quando penso che sia già stato detto tutto, i migliori fuori tu con un asso nella manica davvero potente!
Tanto di cappello, amico.
Grazie mille! Shimizu è un regista che apprezzo molto e adoro vedere le sue pellicole. Questo suo film non è perfetto però ha tanti lati interessanti che non possono essere sottovalutati e che mi fanno apprezzare questo tipo di film. Grazie ancora per il commento amico mio!