Non molto tempo fa ho letto un libro quasi per caso che si è poi trasformato in uno dei miei romanzi preferiti. In seguito ho deciso di leggere altro partorito dalla mente di quel grande scrittore che era stato capace di incantarmi dal nulla. Il libro in questione era Fahrenheit 451 di Ray Bradbury; dopo aver letto 1984 di George Orwell ero in cerca di qualcosa di simile e mi venne consigliata questa perla. Ma oggi parleremo del secondo romanzo che ho letto, che in realtà fu scritto e pubblicato prima dal medesimo autore. E posso dire di averlo amato ancora di più.
Si tratta di Cronache marziane (The Martian Chronicles), una raccolta di ventotto racconti di fantascienza scritti a partire del 1946 e pubblicati in un unico volume nel 1950.
E i marziani rimasero a guardarli dal basso, per molto tempo, in silenzio, a guardarli dall’acqua che s’increspava lieve…
Al momento non posso avventurarmi nell’impresa di parlare di tutti i racconti e quindi mi limiterò a tenermi, per quanto possibile, sul generale.
Cronache marziane di Bradbury narra di tante vicende diverse che sono legate dal filo conduttore della futura esplorazione e colonizzazione del pianeta Marte da parte degli uomini. Sono racconti di fantascienza ma comunque atipici in quanto lo scrittore non si perde molto in descrizioni dei marziani e la loro civiltà o degli umani e delle loro tecnologie; il tutto aleggia più verso la struttura delle fiabe. Anche la nostalgia trova il suo spazio; il risentimento e la tristezza per una società progredita che ha dimenticato il contatto con la natura e la spiritualità.
Le vicende dei racconti iniziano nel futuro gennaio del 1999 e terminano nell’ancora più lontano ottobre 2026. Un arco di quasi trent’anni in cui si parla di come l’uomo ha guardato al cielo con stupore e senso d’immensità per poi ricercare in esso una nuova casa, una fonte di guadagno e una via d’uscita a una situazione senza speranza.
E da qui si può riscontrare un palese parallelismo con la colonizzazione dell’America da parte degli europei. I marziani sono i nativi americani e i gli umani gli invasori di una terra che non è la loro in cui pretendono di costruire il proprio mondo senza prestare rispetto per l’immensa civiltà ricca di cultura che lì vi è vissuta per millenni.
Sono tanti i protagonisti di questo libro e alla fine non lo è nessuno, anche se alcuni personaggi ci resteranno più impressi nella mente rispetto ad altri. Uomini e marziani, ma specialmente i primi saranno visti tramite ogni loro sfaccettatura; è chiaro come per l’autore noi siamo una razza che ha fallito e continuerà a farlo. Vi è risentimento e condanna, personificatosi in figure specifiche in determinati racconti. La visione da parte dell’autore non è per niente ottimista; l’uomo distrugge ciò che non capisce e cerca di renderlo simile al mondo che ha sempre conosciuto. Ma nonostante questo, al termine si scorge un barlume di speranza, come a voler dimostrare che l’uomo può sempre rialzarsi dalle proprie ceneri e tentare di ricominciare daccapo, sperando di non commettere gli stessi errori.
Ovviamente questa visione finale può anche essere interpretata sempre con negatività perché, come spesso la storia ci ha già dimostrato, gli esseri umani tendono per natura a commettere sempre gli stessi errori; ciclicamente gli avvenimenti e gli sbagli si ripetono. Ma nonostante sia la maggioranza a fare un popolo, questo non significa che ogni individuo meriti la condanna.
[Shiki Ryougi 両儀 式]
Gli Uomini della Terra che andarono su Marte… Alcuni erano andati perché avevano paura o al contrario proprio perché non avevano paura, perché erano felici o infelici, perché si sentivano come pellegrini o non si sentivano dei pellegrini…
Indimenticabile prosa quella di Bradbury, così appassionante e trascinante ed assieme anche così precisa, quasi scientifica… Un trattato di fanta-storia, sul quale hai speso splendide parole, Shiki.
Con questa recensione hai risvegliato in me echi fantastici, per uno scrittore che è da sempre nel mio cuore!
Come diceva Ray? Stavano lasciando mogli cattive o città cattive… Venivano per trovare qualcosa o lasciare qualcosa..
Mamma mia, c’è tutta l’immigrazione dei padri pellegrini inglesi nelle colonie, nel Nuovo Mondo ed è perfetto come lo spieghi nel tuo pezzo, quando parli di come i marziani sono la metafora dei nativi americani e gli umani rappresentano gli invasori in una terra che non è la loro e ci ritroviamo la leggenda di Pocahontas e quella dell’Avatar di Cameron e tutto il neocolonialismo imperialista ed il futuro che ripete il passato ed il tuo articolo così apparentemente fuori del tempo, su un libro di decenni fa diventa di colpo così attuale, come l’egoismo e la sopravvivenza.
Stavano arrivando con piccoli sogni o grandi sogni o nessuno affatto…
Mi fa molto piacere rileggerti sotto i miei articoli :)
Concordo con tutto ciò che hai detto e ti ringrazio per le sempre belle parole.
Questo libro, questo autore, mi hanno davvero scossa, dandomi speranze per un mondo in realtà totalmente egoista e sbagliato dove brilla comunque un bagliore di speranza e rinascita. Di umanità.
Cavoli, Shiki… Le belle parole sono le tue… Mi unisco alla speranza!