Quando mi ritrovo a pensare alla morte, non so mai bene come pormi di fronte a essa. Il concetto stesso di morte non lo comprendo e non lo accetto. Per questo ne ho paura e mi rifiuto di essere atea, anche se la ragione mi dice il contrario. Ma soprattutto ho paura di restare sola, vedendo morire chi amo e dover sopportare tutto quel dolore.
Io ho un rapporto complicato con il lutto e la morte. L’ho affrontata a 10 e 11 anni, con la scomparsa dei miei nonni paterni e per me tutto era così assurdo tanto che mi dissociai completamente dalla questione. Involontariamente, immaginai che fossero partiti per un lungo viaggio, con in mente l’idea che prima o poi li avrei rivisti.
Non piansi mai e non andai ai loro funerali. Tuttora ho problemi a piangere, specie per i lutti, e a partecipare ai funerali. Non sopporto la carica di dolore che aleggia in quei momenti; mi schiaccia e io devo per forza dissociarmi, cadendo in un limbo mentre fuori appio solo un po’ persa tra le nuvole.
Solo molti anni dopo la loro morte, li sognai; erano felici, erano tornati e volevano parlare con me e io volevo raccontare a loro tante cose. Fu un sogno stupendo e ho pianto per loro, appena sveglia, per la prima volta.
Nonostante tutto, la morte rimane un’enorme fardello che non riesco a sopportare. L’idea che ogni cosa prima poi deve morire mi spaventa, mi offusca e mi opprime.
Ecco perché trovo che questo romanzo di Stephen King del 1983, Pet Sematary, sia il più crudele e profondo tra i suoi libri che ho letto.
The Butcher ha scritto un articolo sui due film dedicati a questo romanzo: Cimitero Vivente (1989) e Pet Sematary (2019).
Io parlerò esclusivamente del romanzo.
Louise Creed è un medico chirurgo che ottiene un posto nell’Università del Maine. Si trasferisce in una casa grande, con molti ettari di terra, poco fuori dalla cittadina Ludlow. Con lui viene anche la sua famiglia, cioè la moglie Rachel e i due figli piccoli, Ellie e Gage, respettivamente di età 6 e 2 anni. Sono poi accompagnati dal loro gatto domestico, Winston “Church” Churchill.
Fin da subito cominciano a presentarsi dei “problemi”.
Innanzi tutto, nel loro terreno si trova un cimitero degli animali, dove da anni i bambini vanno lì a seppellire i loro defunti compagni a quattro zampe. Jud, un vicino di casa, lo mostra alla famiglia e questo non causa delle reazioni positive, soprattutto da parte di Ellie e Rachel.
Ellie avrà una crisi di pianto e paura per via della consapevolezza che Church sarebbe vissuto poco rispetto a lei e Rachel di arrabbierà con Louise perché si rifiuta di parlare di Paradiso e altre cose religiose alla figlia, essendo lui palesemente ateo. Inoltre, Rachel si mostra fin da subito molto sensibile al concetto di morte, quindi la sfuriata finisce e in conclusione decidono che il gatto verrà castrato, per impedire che se vada in giro; la maggior parte delle vittime di animali le fa la strada, molto trafficata dai camion.
Jud, il vicino, è un vecchio che vive con la moglie, e quasi subito instaura un rapporto padre-figlio con Louise, che ha sofferto della mancanza di una figura paterna.
Durante il primo giorno di servizio al campus universitario, avviene un fatto che sconvolge il protagonista: un ragazzo viene investito e sta morendo. Si tratta di Victor Pascow, che gli parla poco prima di spirare. Ciò che dice è quasi senza senso, ma è strano perché i due non si sono mai conosciuti prima di allora.
Quella stessa sera, Louise si sveglia in piena notte e si ritrova a seguire Victor Pascow fino al cimitero degli animali. Lo mette in guardia, indicando la grande catasta di legno e rovi che impediscono il passaggio verso l’interno del bosco, vicino a dove ci sono le lapidi; gli dice che non dovrà mai andare oltre quella barriera, non importa quanto creda che sia necessario.
La mattina Louise si svegliò tardi, ritrovandosi i piedi completamente infangati, come se avesse davvero camminato sul per il sentiero, fino al cimitero degli animali.
Da qui in poi gli eventi inizieranno a muoversi come in un domino; la morte continuerà a perseguitare il protagonista, che non vede speranze al di là della vita stessa. Un cappio al collo che si farà sempre più stretto. La lenta perdita della ragione.
E, senza fare spoiler, è qui che mi piace come King ha gestito il tutto; ti svelerà sempre prima chi starà per morire, a volte alla conclusione di un momento felice e di pace, in compagnia magari con Jud e sua moglie, o con la propria famiglia. Quindi il lettore resterà con l’amaro in bocca e l’ansia, immerso in una vorace e fluida lettura per scoprire cosa accadrà più avanti.
Io, prima di leggere il romanzo, ho conosciuto i due film, rispettivamente il remake del 2019 e poi l’originale del 1989. Tra i due, il migliore è quello degli anni ottanta, e lo pensai ancora prima di aver letto il libro. Ma notai che il protagonista era rimasto, in entrambe le pellicole, poco caratterizzato e poco “sentito” perché il suo viaggio è una discesa verso gli inferi che lo condurranno in un landa nera e putrida, mentre la mente gli va in ebollizione perché ciò che lo circonda, ciò che sta accadendo, il senso di colpa e il nulla della morte, saranno macigni insopportabili da portare sulle spalle. Assisteremo alla distruzione di un uomo e della sua quotidianità. Nel libro tutto ciò cresce a dismisura, pagina dopo pagina e diventa difficile trasporre tale mutamento e dolore in una pellicola (non impossibile, ma decisamente difficile, questo sì).
Nei film poi hanno sempre contestualizzato male il personaggio di Jud, colui che li conduce al cimitero per la prima volta e diventa un caro amico di Louise; nel romanzo il rapporto si accresce pian piano e le ragioni che legheranno i due personaggi si faranno nette e indissolubili.
Ma quale è lo scopo di questo romanzo, oltre a raccontare una storia “paurosa”?
Esso vuole far riflettere; riga dopo riga, intrecciando parole e frasi, si danza con la morte e la sua difficoltà di accettarla, così come è: carne nella terra, vermi e disperazione, senza sapere se esiste o meno un dopo o un aldilà.
La perdita della ragione, il rimpianto e il peso del presente che diviene in pochi istanti già un passato indelebile, rende questa storia la più potente tra quelle che abbia mai letto di King.
Lo consiglio, oltre a chi ama King, a chi vuole riflettere sul concetto di morte e accettazione del lutto.
Shiki Ryougi
[Il commento che segue può sembrare O.T. ma data la tua premessa )che ne ha influenzato anche la percezione del libro) ritengo che sia più a tema di un commento sul libro di King]. Anche io sogno spesso mio papà…e a volte mi sono svegliato a causa dei muscoli del viso che si distendevano in un sorriso oppure percorso da una forte commozione. Fino a quando le persone che non ci sono più saranno con te, quanto più riuscirai a trattenerle nei tuoi pensieri, saranno insieme a te. Credo che questa sia la vera “immortalità”. Il dolore non svanisce, è un buco nero che tutto risucchia, tuttavia il loro pensiero non è solo temporaneo conforto, ma rafforza la certezza di quanto siano stati importanti e rafforza anche te stesso. Il dolore diventa in questo modo, sopportabile è uno strumento per combatterne le legittime paure della fine della vita.
Leggere un libro può aiutare a metabolizzare, a prendere le misure a questo tema doloroso. Ognuno comunque con i suoi tempi e i suoi metodi. Fuggirne ti rende ancora più vulnerabile, non pronto (per quanto si possa essere “pronti”).
Io non sogno spesso i miei nonni, anzi è capitato molto raramente, ma quel sogno è stato davvero particolare e mi ha aiutato ad accettare la loro morte, ma permane il mio disagio verso il concetto di morte in sé. Prima o poi anche i ricordi svaniscono e a quel punto? Ecco, anche questo mi spaventa.
Credo che certi ricordi non possano mai svanire. Sono più di dieci anni che ho perso papà e non svaniscono anzi sono definiti in ogni dettaglio. Ribadisco però che questa è la mia esperienza. Tu sei più giovane di me ed è normale sentirsele distante e a disagio.
Questo è stato uno dei primi romanzi che ho letto di King. All’epoca l’ho trovato davvero coinvolgente ma considera che io venivo dai fumetti, per me le letture erano quelle e lo sono tutt’ora. Detto questo, lo preferisco di sicuro al film del 1989, la versione aggiornata non l’ho guardata.
Rispetto al film abbiamo un coinvolgimento maggiore con il protagonista, i legami con gli altri personaggi e una visione in primo piano della caduta verso l’irreparabile. Il film è qualcosa di più leggero, da godersi, senza fare troppi paragoni con il libro.