Non aprite quella porta (1974)

Dopo aver parlato di pellicole uscite nell’ultimo periodo, è opportuno fare un passo indietro nel tempo e parlare di qualche classico del passato. In questo caso voglio discutere di un film molto importante che è riuscito a dare qualcosa di nuovo, non solo per quanto riguarda il suo genere di appartenenza, ovvero l’horror, ma anche nei confronti del cinema. Quando mi approcio a queste pellicole, ho sempre un po’ di ansia da prestazione, perché temo di non riuscire a fare all’opera in questione i giusti meriti. Cercherò sempre di fare del mio meglio e farò in modo di dare onore al film di cui sto per parlare.
Ecco a voi Non aprite quella porta (The Texas Chain Saw Massacre), horror del 1974 diretto e scritto da Tobe Hooper.

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Trama:
Siamo a Newt, in Texas, nell’agosto del 1973 e qui qualcuno ha dissotterrato dei cadaveri e con i loro pezi ha costruito una scultura mostruosa nel cimitero locale. In quel giorno un gruppo di ragazzi, Sally Hardesty (Marilyn Burns), Pam (Teri McMinn), Jerry (Allen Danziger), Kirk (William Vail) e Franklin Hardesty (Paul A. Partain), il fratello di Sally, vanno al cimitero per controllare che la tomba del nonno di Sally non sia stata profanata. Dopo essersi accertati di ciò, il gruppo riparte e mentre viaggiano incontrano un autostoppista (Edwin Neal). I ragazzi si pentono subito di averlo fatto salire sul furgone, visto che l’uomo si dimostra fuori di testa e, oltre a ferirsi la mano, ferisce al braccio Franklin. Riescono a buttarlo fuori dal furgone ma questo sarà solo l’inizio del loro incubo, dato che in seguito dovranno fare i conti con la famiglia dell’autostoppista.

Da dove cominciare?
Gli anni ’70 hanno portato un cambiamento molto importante nel cinema. Personalmente sono stati due film alla fine degli anni ’60 a dare l’inizio a questa evoluzione: La notte dei morti viventi di George A. Romero ed Easy Rider di Dennis Hopper. Nel primo caso abbiamo una novità per quanto riguarda i mostri, che non sono entità provenienti da storie europee o esseri sovrannaturali, ma zombi, mostri che un tempo erano umani e che adesso vanno in giro a divorare i vivi. In quel film inoltre c’era una forte critica sociale alla società e al modello americano. Nel caso di Easy Rider, arrivato proprio nel 1969, invece si narra le vicende di alcuni motociclisti che viaggiano per le strade d’America, seguendo in un certo senso i concetti che stanno molto a cuore negli USA ovvero quello della libertà e di esseri se stessi soltanto poi per arrivare a un finale in cui tutto ciò viene smentito. Due grandi film, diversi tra loro, che hanno avuto entrambi un impatto molto forte nel cinema e nella società (ovviamente ci sono stati altri film che hanno avuto un forte effetto, ma questi due hanno veramente cambiato le carte in tavola).
Nel 1972 è il turno di Wes Craven, il quale dirigge uno dei film più significativi di quel periodo ovvero L’ultima casa a sinistra. In questo film ci sono componenti molto importanti come ad esempio una violenza e una cattiveria mai viste fino ad allora e il fatto che i cattivi siano esseri umani. Nella prima parte vedremo l’attacco verso la famiglia americana da parte di questi criminali mentre nella seconda la vendetta dei genitori che si dimostreranno spietati quanto i deliquenti. Un film che nonostante tutto riuscì a ottenere un buon successo e a dimostrare come l’horror riesce a criticare meglio di altri generi la società odierna.

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Tutto questo preambolo è stato fatto per capire meglio come un film come Non aprite quella port abbia visto la luce, in un periodo dove nel cinema si cominciava a spezzare vari dogmi e a scendere in un mondo oscuro che in molti non volevano vedere.
Tobe Hooper, prima di dirigere Non aprite quella porta, aveva già diretto un film chiamato Eggshell, che ai tempi ebbe un buon successo di critica ma venne distribuito molto poco. L’obiettivo di Hooper era Hollywood e insieme a Kim Henkel (il co-sceneggiatore) si mette a scrivere la sceneggiatura del film, che inizialmente aveva come titolo Stalking Leatherface e Leatherface, ma alla fine venne chiamato The Texas Chain Saw Massacre (un titolo molto altisonante che riesce ancora oggi a incuriosire).

Come molti sapranno, il film si ispirò molto alle vicende di Ed Gein e le analogie tra gli eventi del film e le azioni commesse da Gein si sprecano (profanare tombe, costruire mobili con i loro resti, vestire con la loro pelle).
Le riprese del film furono molto faticose, perché iniziarono il 15 luglio del 1973 e continuarono per 32 giorni sotto il sole rovente e in molti casi queste riprese furono realizzate, sì con una certa cura e un fine ben preciso, ma anche in modo caotico e probabilmente quest’ultimo fattore aiutò moltissimo il risultato finale, ma ci torneremo più avanti.

Una cosa che in pochi tendono a sottolineare è l’ironia presente nella pellicola. Non parlo dei momenti grotteschi, momenti tra l’altro resi molto bene perché non superano mai il limite diventando ridicoli, ma proprio di momenti divertenti. Un esempio perfetto lo ritroviamo all’inizio con Franklin che, costretto sulla sedia a rotelle, cerca di urinare dentro una bottiglia e per sbaglio finisce per cadere giù dalla collinetta. Ovviamente l’ironia di questa pellicola non è paragonabile a quella presente nel secondo capitolo, dove era molto più presente e meno sottolie, ma in un certo senso ci si avvicina.

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I personaggi della storia sono ben gestiti. I protagonisti sono comuni studenti del college che non presentano tratti da clichè e non sono odiosi ma persone normali che si ritrovano ad affrontare eventi e situazioni orrende. Tra i protagonisti probabilmente i più caratterizzati sono Sally e Franklin e il loro rapporto. Come si vede bene in alcuni punti, il loro rapporto non è dei migliori anche perché Franklin dimostra varie volte di essere alquanto fastidioso e soprattutto piagnucolone. E tra tutti è proprio Franklin a rimanere più impresso, per il suo modo di comportarsi e le sue azioni.

Passiamo ora ai cattivi. Loro riescono a colpire maggiormente il pubblico , perché ci vengono mostrati come una famiglia disfunzionale (e disfunzionale è dir poco). L’Autostoppista è un folle in tutto e per tutto, non sta mai fermo, tende a farsi del male senza motivo ed è probabilmente il più sadico della comitiva. Non parlerò anche degli altri che ci verrano mostrati verso la fine (casomai qualcuno non avesse visto il film) ma, se si parla di Non aprite quella porta, non si può far a meno di parlare di Leatherface.
La prima cosa che salta all’occhio di questo personaggio è il suo design: un uomo molto alto e robusto con addosso un vestito da macellaio e una maschera fatta di pelle umana, una maschera che nonostante tutto lascia intravvedere in parte l’aspetto deforme e grottesco della persona. Come non citare poi l’arma che brandisce, la motosega, la sua arma principale e che in un certo senso ispirerà molte pellicole future (tipo Evil Dead). Nonostante ciò, nonostante la sua forza, il terrore che incute e la sua cattiveria, Leatherface dà l’impressione di un bambinone. Soprattutto quando nella casa irrompe la terza vittima. Allora lì lo vediamo veramente impaurito, perché non sa da dove provengano tutte quelle persone e non sa se ce ne siano altre. E’ un personaggio molto caratterizzato, che nei film successivi subirà un certo cambiamento, snaturando in un certo senso quelo che era all’inizio. Inoltre apprezzo molto la maschera che indossa qui, perché riesce a dare l’impressione di un lavoro fatto a mano (negli altri film diventerà un po’ troppo curata a mio avviso, anche se adroo tanto quella del secondo capitolo fatta dal grande Tom Savini).

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Un punto di forza notevole della pellicola riguarda l’ambientazione.
Parliamo degli esterni. Gran parte del film ha come ambientazione le zone rurali e desertiche del Texas e in un certo senso ciò funziona molto bene per la trama. Questo tipo di ambientazione riesce a creare un perfetto contrasto con i nostri protagonisti che vengono dalla città e questa zona. Inoltre il sole ha un ruolo fondamentale per il film: il forte contrasto che crea con la sua luminositàdà alla pellicola un’atmosfera unica. L’ambientazione che però sorprende più di tutti è la casa della famiglia. Da fuori sembrerebbe una casa come tante, ma quando entri assomiglia in tutto e per tutto a un mattatoio. La cosa che salta subito all’occhio sono i vari mobili che adornano la casa. Mobili costruiti con le ossa di vari animali (in molte scene ossa di buoi che la troupe prese in zona) e anche di persone, basta pensare alla sedia con i braccioli fatti di braccia umane. Il tutto crea un’ambientazione e un’atmosfera claustrofobica, grottesca e terrificante. Bisogna ammettere che gli oggetti di scena sono resi in maniera magnifica e sono veramente originali e sembrano usciti veramente da una mente geniale e soprattutto malata.

La cosa che ho sempre amato di questo luogo e in generale della pellicola è il modo con cui ci viene mostrato lo sporco e il caos. Questi due elementi sono importantissimi in questo film e sono la sua anima. In tutte le pellicole che ho visto fin’ora sono veramente poche quelle che hanno saputo trasmettermi la stessa sensazione di Non aprite quella porta. E tutto ciò lo si deve all’incredibile messa in scena di Tobe Hooper. Il regista è risucito in più occasioni a regalarci scene incredibili come l’inquadratura dell’armadillo morto sul ciglio della strada (che in principio doveva essere un cane), la scena del gancio dove qui Hooper utilizza un fuori campo veramente intelligente e grazie a esso la scena viene resa ancor più terrificante. Ci sarebbero tantissime sequenze da analizzare e commentare ma credo che saremo tutti d’accordo nel dire che il film raggiunge il suo apice e la sua follia nella scena della cena. In questa scena specifica la follia, il caos, il grottesco e la calustrofobia raggiungono i livelli massimi. E in un certo senso fu anche grazie alle condizioni in cui fu girato (oltre all’incredibile lavoro di Hooper). Le riprese durarono 27 ore di fila (questo per vari motivi tra cui la scadenza del contratto di un attore e la mancanza di trucco per un attore) e tutto dentro la casa con le finestre chiuse e oscurate (perché doveva dare l’impressione di essere di notte) con le luci dei riflettori accessi e in piena estate in Texas. Si raggiunsero all’interno temperature elevatissime, alcuni oggetti di scena si scoglievano e il cibo andava a male e anche gli attori iniziavano a sudare copiosamente tra cui Gunnar Hansen, l’attore di Leatherface, che fu costretto a indossare per tutte le riprese lo stesso costume (ne avevano soltanto uno) dall’inizio alla fine e diciamo che non aveva un buon odore (alcuni attori e persone della troupe dovettero andare via dalla scena per vomitare).

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Non aprite quella porta è un film folle e grottesco con un pizzico di ironia che è risucito a cambiare radicalmente l’horror di quel periodo e che ha contribuito alla nascita di molti film che in seguito divennero cult. La sua storia è molto interessante, così coem lo è l’influenza che ha avuto per il cinema in generale e non solo per il genere horror.
E’ un film che consiglio a tutti, anche a chi non è un’amante delle pellicole dell’orrore perché quest’opera è giustamente entrata nella storia per la sua bellezza, la sua messa in scena e per tutta la follia che è riuscita a mostrare e che in pochi hanno saputo eguagliare.

Spero ceh la recensione vi sia piaciuta.
Alla prossima!

[The Butcher]

13 pensieri riguardo “Non aprite quella porta (1974)

  1. […] abbiamo parlato di queste saghe, ho parlato dei vari Nightmare (tranne il remake), ho parlato di Non aprite quella porta e La bambola assassina, anche se poi non ho continuato con gli altri film di queste due saghe […]

  2. […] Nello scorso articolo abbiamo dato il via alla saga di Halloween, iniziando con il suo primo film, Halloween – La notte delle streghe, una pellicola horror diretta dal grande John Carpenter che riuscì a sorprendere moltissime […]

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